Fai il nome di Edgardo Bazzini e appare idealmente il tricolore. Perchè, con il funzionario Agip alla guida del club giallorosso, Roma conosce la gioia di uno scudetto. Il primo scudetto della storia capitolina. Anno 1941/42. Eppure, i festeggiamenti di una soddisfazione tanto grande si scontrano – per evidente cursus storico-politico – con la caccia agli oppositori del regime, i dissidenti, i dissimili, i diversi. Pensare che il rosso fuoco impresso sui tessuti della maglia romanista non faccia pan-dan col sangue versato da milioni di uomini e donne – in quel frangente – è impossibile. Infatti, il primo graffio storico della Lupa si mescola al dramma di una Seconda Guerra mondiale dagli esiti tragici. Mettere in bella vista il massimo trofeo nazionale è una sensazione dolcissima e amara, perchè la bacheca giallorossa – in quel caso – non poteva essere altro che un timido raggio di luce rispetto alla violenza che si respirava nelle piazze, tra le vie, dentro i cunicoli di un Paese devastato.
Negli anni del Fascismo, pallone e politica rotolavano pressochè in simbiosi. Quella manciata di mesi di presidenza affidata prima ad Antonio Scialoja e poi a Igino Betti – entrambi passati a miglior vita precocemente – corrispondono a momenti grigi – sportivamente parlando – per la A.S. Roma che a cavallo tra i Trenta e i Quaranta ha sulle spalle poco più di un decennio di vita e un paio di finali di Coppa Italia perse nel corso degli ultimi 90′.
Il campionato del 1941. Tra un’incarcerazione e una fucilata, sulla massima poltrona della società si sedette Edgardo Bazzini, emiliano nativo di Parma (1867) e ricordato – ancor prima che per i suoi incarichi sportivi – per il legame professionale con Agip. Era estate piena, c’era caldo e diffidenza. L’afa di temperature che superavano in maniera consueta i 30 gradi, lo scetticismo di vedere la Roma consegnata nelle mani inesperte di chi – nella vita – faceva ben altro. Ancora: dal Testaccio, dove i capitolini avevano fino ad allora disputato tutte le partite casalinghe, al Nazionale (ubicato dove ora sta il Flaminio) con un bagaglio misero così. Quello dell’undicesimo posto in classifica raggiunto l’anno precedente: poco per credere in una inversione di rotta e rendimento. Anche perchè, le prospettive – nuovo Presidente, campagna acquisti da inventare – sono tutt’altro che rosee. E invece.
Edgardo Bazzini è un uomo piccolo di statura e in tutte le foto ufficiali che risalgono a quegli anni lo si nota immediatamente: in mezzo a calciatori e uomini della dirigenza, è quello che arriva ad altezza ascella. Minuto e robusto, gioviale, da alcune angolazioni sembra panciuto. Fin qui, ci si arriva con gli occhi: vedere.
Ma il resto. Lo raccontano i fatti. Roba che – certe volte – ti togli il cappello e dici scusa. Per averlo pensato.
Bazzini da Parma, funzionario Agip tira fuori un carattere da vendere e intuizioni vincenti. La prima: confermare in panchina l’allenatore austriaco Alfred Schaffer. La seconda: campagna acquisti lungimirante con gli innesti, tra gli altri, di Renato Cappellini dal Napoli, Edmondo Mornese dal Novara, Sergio Andreoli dal Perugia. La terza: dare piena fiducia a uno che, giallorosso, lo era fino al midollo. Amedeo Amadei, che se pensi all’attaccante ti vengono in mente 386 presenze, 101 reti, l’esordio in serie A all’età di 15 anni, 9 mesi e 6 giorni.
Un aneddoto rispecchia al meglio quei giorni.