Roma, di sera col cielo in blu jeans scoprì che il calcio è anche Marco Cassetti

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 Marco Cassetti in condizione di forma stratosferica serve eccome, alla Roma costruita a immagine e somiglianza di Claudio Ranieri. Di gregari e campioni. L’ex leccese, motorino di fascia (a volte più avanzato, altre ancora costretto alla fase difensiva) di Luciano Spalletti, è tornato a riprendersi la sua postazione con picchi di 7.5 in pagella nel corso dell’ultima gara giallorossa contro l’Inter. “Se la vede con Zanetti ed Eto’o: non sbanda mai. Anzi, quando può si riversa anche in attacco. Prestazione solida“. Aveva di fronte la corazzata peggiore: Zanetti è uno che non perde mai palla; Eto’o punge, fa male e t’avvelena come gli scorpioni. Nessuno meglio del 77 della Roma, che si è spartito la palma del migliore in campo con Daniele De Rossi e David Pizarro. Francesco Totti, nellla circostanza, era in panchina. E Totti, con la storia di Cassetti, centra anche lui pure se di mezzo non c’è il poker e non ci sono le carte (passione condivisa da entrambi).
IL GIOCO DEL CALCIO. Sotto un manto giallorosso, in una sera col cielo in blu jeans scopri che il gioco del calcio vive di attimi e sfaccettature, intuizioni e dettagli, istinto e profonda razionalità. Ma non solo. Tra uno sventolio di bandiere da immaginartele in perpetuo movimento per tutta la vita e male alle mascelle per quanto hai accompagnato con il movimento facciale ciascuno di quei lunghissimi minuti di cui si compone l’incontro, capisci che il gioco del calcio è un dolore a tal punto viscerale da darti accesso, di contro, alle gioie più impenetrabili. Per natura propria, si compone di marchiani errori, lineari fraseggi e tocchi partoriti da nicchie di eccellenti.

ROMA-LAZIO, MINUTO 34. Tra le stelle nascoste di un Olimpico di inizio dicembre, in una sera con l’erba che suda freddo. Lo scopri così e ti concili con il calcio giocato più di quanto sia successo in precedenza. E’ l’antevigilia dell’Immacolata, il ventennale dell’approvazione da parte della Camera dei missili Cruise e Pershing. Fino alle 22.29. Perchè dal minuto successivo in avanti la giornata entrà di diritto nelle proprietà della memoria storica giallorossa. A Roma s’è appena consumata l’ennesima stracittadina con trionfo giallorosso. Roma-Lazio 1-0, rete al 34′ della ripresa. A rimarcare il concetto. Lontano anni luce dal genio di Francesco Totti. Distante milioni di chilometri dalle preveggenze di David Pizarro. Confinato in un lembo di terra rispetto alla tempestività di Daniele De Rossi. Un esliato, se messo a confronto coi fuoriclasse, eppure così tanto pregnante nel contesto calcistico che sì. Lo scopri così, nell’istante in cui lo capisce Roma, l’Olimpico, la Curva Sud. Che il gioco del calcio si chiama anche Marco Cassetti.
Ti concili con il calcio giocato
per la capacità di riuscire a cucirgli addosso sfaccettature di umanità che i talenti ti obbligano a ignorare. Mentre il 77 giallorosso si fionda a martello nel mare di tributi conseguenziali, mentre la vita di Cassetti cambia in una notte sola ti viene da sentirlo più affine, il calcio, e da dargli quasi del tu. Per quella sensazione speciale – come certe giocate che però ti sono precluse dalla genetica – di essere a proprio agio in un mondo che ti somiglia sempre di più.
UOMINI E NON. Perchè se le finezze di Totti, le carezze al pallone di Pizarro e certe lampadine che si accendono a De Rossi le puoi solo immortalare in fotografia e affiggere al muro, Marco Casseti riesci a cucirtelo addosso. A vestirne la divisa. Per quello spirito di sacrificio, quelle imperfezioni che ci sono, quei polmoni che hanno bisogno di pompare più ossigeno degli altri, quelle sbavature che a volte di portano a imprecarne il nome, quel sudore che per garantire risultati si deve moltiplicare in maniera esponenziale, quei rimedi in extremis a errori precedenti, quelle svirgolate che sono come gli imprevisti di tutti i giorni. Per tutte queste circostanze e caratteristiche che somigliano molto di più alla vita quotidiana di ciascuno. Gente umile e normale, gente di lotta e fatica, gente incapace di prodezze in un istante solo con cui annebbiare minuti e minuti di esistenza banale. Gli uomini, tipo Cassetti. E non, vedi gli altri tre.
CASSETTI DI GLORIA. Al minuto 34′ della ripresa del derby Roma-Lazio disputato lo scorso 8 dicembre 2009, tuttavia, anche Marco Cassetti ha impresso la sua impronta nel marciapiede capitolino delle star indimenticabili. Gli è bastato un gol nella circostanza più importante. Per sublimare quali virtù anche i difetti: in fondo, è lo stesso Cassetti di sempre. Subentrato a Mexes allo scadere della prima parte di gara e capace della solita conduzione sufficiente. Di quello che i pennaioli raccontano il giorno dopo come un “lavoro ordinato in fase di copertura”, “diligente apporto tattico”, “disciplinato svolgimento del compito”. Quelli così poco abituati a momenti di protagonismo esclusivo che dopo il gol ai biancocelesti, Cassetti manco sapeva che fare: “Sono contento di aver dato questo contributo al popolo giallorosso. Sono euforico. Dopo il gol ero in trance. Non so cosa ho fatto, non sapevo cosa fare: con le reti non ci sono avvezzo“. E’ bastato tanto così: perchè l’eroe calcistico (non quelli sempre giovani e belli, sempre bravi e decisivi) vestisse i panni di Marco Cassetti. Come se nella vita vissuta, tra un consueto tragitto casa-lavoro o la routine tra quattro pareti di casa, arrivasse – improvviso – un lascito inaspettato. Un complimento professionale. Un riconoscimento rinfrancante. E’ una ricompensa che mette nelle condizioni di vedere la realtà in maniera diversa e di essere percepito differentemente: allora, accade che, in un istante così, tanto l’uomo qualunque si avvicina sempre più alla proiezione ideale che ha di sè quanto Marco Cassetti faccia un passo d’avvicinamento verso Francesco Totti. Il che, per proprietà transitiva, equivale per ciascuno di noi a conciliarsi sempre meglio con il gioco del calcio.
CASSETTI IN UNA MANCIATA DI RIGHE. Classe 1977, le ultime due cifre dell’anno di nascita a marchiare la maglietta che indossa, il bresciano ha – nella stagone 2009/10 – 23 presenze alle spalle che equivalgono a 1.814 minuti giocati. Cinque ammonizioni e la rete di cui s’è abbonantemente parlato. Dal Lumezzane al calcio che conta: cinque anni di gavetta in serie C prima di approdare a Verona e disputare il primo campionato di massima serie (2000-01). Esordo il 30 settembre dello stesso anno (coincidenze, al San Nicola contro il Bari, finì 1-1). Tre anni in Veneto: 61 presenze, 7 gol. Poi il trasferimento in Salento. Nel Lecce: il 2003/04 è un annata che fila alla grande. 30 presenze e 5 reti. L’anno dopo, l’exploit grazie al gioco offensivo di Zdenek Zeman: 4 gol in 36 presenze che incorniciano una stagione da voti più che discreti. Che gli frutta la Nazionale (primo calciatore del Lecce a vestire l’Azzurro). E’ la consacrazone di un calciatore che tanto corre quanto è impeccabile sotto il profilo disciplinare. L’amarezza della serie B – anno seguente – pare ridimensionarne le prospettive, invece dopo la retrocessione arriva la bella sorpresa: ingaggio con la Roma, triennale fino al 2010 con ambizioni di scudetto e la possibilità di giocare in Europa. Champions League. All’attivo, per ora, due Coppe Italia (2006/07 e 2007/08) e una Supercoppa Italiana (2007) ma anche una targa speciale, consegnata dal Roma Club Tevere, con inciso data e minuto della rete realizzata durante Roma-Lazio. Operaio del pallone, gli toccano fatica e sudore per garantire ai Campioni la possibilità di esprimersi nella maniera ideale. Sul contratto del 77 è come se ci fosse scritto: “Tu sudi e Totti segna“. Più sudi e più Totti ci fa vincere le partite. Il che, a conti fatti, non fa una piega: perchè tanto, poi, c’è il poker e ci sono le carte. E lì – per carità – che sia pure un’altra storia, che i talenti siano invertiti. E che a conciliarci con il gioco d’azzardo sia pure la sfortuna cronica e l’istinto perdente di Francesco Totti.


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