Fratello, dove sei. Parafrasando Clooney. Philippe Mexes, a questo punto, pare essersi smarrito nei meandri di una Roma vogliosa e grintosa, bella in tutti i reparti meno che in difesa. Non per demerito di Juan, evidente: il brasiliano è finalmente tornato ai livelli di eccellenza che nella Capitale – a memoria – non gli si poteva ancora riconoscere. Di John Arne Riise, dopo una stagione alla grande, è doveroso accettare un calo fisico figlio di quegli oltre 2200 minuti nelle gambe. Mica una passeggiata, quella del norvegese. Cassetti un po’gira e un po’ si intoppa; Motta, Tonetto: quel che riescono, nei limiti del possibile (le doti individuali, evidentemente, ma anche gli infortuni e lo scarso utilizzo). Nicolas Burdisso, va detto, è stato messo in sordina da Claudio Ranieri nonostante l’argentino abbia sfornato prove dignitose nelle circostanze nelle quali è stato chiamato in causa. Perchè? Chiaro, il motivo ha un nome e un cognome.
RUGANTINO. Philippe Mexes, francese classe 1982, prelevato dall’Auxerre nell’estate del 2004. Ha fatto in fretta, la Capitale, a trasformarlo in Rugantino. Come la maschera: er bullo, svelto co’ le parole e cor cortello. Non tanto per la ruganza quanto per la capacità di adattarsi immediatamente a usi e costumi di Roma. A quella cultura tipica e caratteristica che sforna premi quali “Er mejo fico der bigonzo“. L’ha vinto nel 2007, Mexes.