Nato il 17 settembre di 24 anni or sono, il valdostano Paolo De Ceglie sembra essere – al pari del compagno di squadra, Sebastian Giovinco – il classico talento incompiuto. E dire che il biglietto da visita di questo bel ragazzone alto 1.84m era di tutto rispetto: poker di reti all’Inter Primavera nella finale, stravinta dai bianconeri, di Supercoppa Italiana 2006 (finì 5-1). Anche gli inizi in prima squadra facevano ben sperare: esordio in Serie B (era l’anno del post-Calciopoli) contro il Napoli il 6 novembre, gol una settimana più tardi nel 4-1 inflitto al Lecce e investimento della società, che lo spedisce a Siena a farsi le ossa l’anno successivo. Al termine di un campionato maiuscolo, De Ceglie torna dalla comproprietà toscana (la Juventus dovette sborsare 3,5 milioni di euro) e diventa una pedina importante per Ranieri, che sul binario sinistro alterna nei due ruoli Molinaro, Nedved e – appunto – Paolino.
Viene quasi spontaneo citare la battuta del film “L’allenatore nel Pallone“, richiamando alla memoria l’attimo in cui Oronzo Canà e il Presidente della Longobarda iniziarono a discutere di mercato estivo. C’era da fare la squadra e iniziarono a emergere papabili acquisti a raffica. Un ventaglio di nomi, quello messo sotto il naso di Canà, che pareva dovesse giocare – a un certo punto – con le prime scelte dei maggiori club italiani. Salvo poi rendersi conto che, stringi stringi, fu magro bottino. Da lì la battuta: “Io devo guardare al presente, Presidente. Il campionato come lo faccio? Metto ad ala fluidificante Daniele Piombi ed ala tornante Pippo Baudo“.