Roma, Riscone di Brunico: marea giallorossa tra i monti del Trentino Alto Adige

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 In chilometri, poco meno di settecento trenta. Roma – Riscone di Brunico è una coltellata a tagliare a metà la Penisola, a squartare Regioni, a lambire metropoli. “Quanno manca, p’arrivà?”. Sempre troppo: l’autostrada sembra un deserto. Il deserto, nella tratta sud-nord, non conosce traffico. Non esistono code. Si procede lineari, a dare un’occhiata nell’altro senso di marcia viene quasi strano cercare di capire perché. Il flusso si muova tutto da su a giù. Autogrill, cartelli di confine, a ogni deviazione che non va presa, il navigatore. “Tra cento metri, tenere la sinistra. Tenere la sinistra”. Senza nemmeno la possibilità di sintonizzare lo stereo su una delle svariate radio romane che trasmettono calcio 24 ore al giorno. Come faranno – per esempio – in Emilia, in Lombardia, in Veneto. Solo musica, o solo le parole vaporose dei Dj che parlano di. Di. “Ma de che parlano?”. Tutto e niente. La quotidianità, il caso, il sesso. Mentre a destra svanisce l’ennesima chiesa, mentre a sinistra la solita fabbrica resta indietro.
In panini, tre o quattro. Cotoletta, frittata, niente salumi. “Che in Trentino, aoh, te abbufferai de spek”. Intanto, che ancora stavo a Roma, manco ero sicuro de come se scriveva. Spek. Speck. I panini. Uno appena superato il Lazio, l’altro a metà strada. Il terzo è per compagnia, il quarto per fame. Appena arrivati a Riscone di Brunico. Dove l’erba non è del solito verde. De ppiù. Il caldo è tremendo, ma non come a Roma. Più secco, manca tutta l’umidità. “Sarà, ma se coce uguale”. Il centro sportivo sembra un villaggio giallorosso: tutto rimanda alla Roma.
 Gli stend, i gazebo, i colori, i suoni, le parole. Le parole?
“Mmazza, v’è toccata pure a voi la sfacchinata?”. E’ un romano, arrivato qualche ora prima. La gente: vall’a sapè che pure a Brunico…uno se pensava de trovà la gente. Invece: pure qua. La gggente. I romani. Romanisti. Una famiglia vestita da stagione 2010/11: maglia rossa ufficiale, il papà; la mamma con la divisa bianca (vanno a ruba, dice l’addetto del banchetto); quella nera e arancione – la più fashion – ce l’ha il ragazzino. Mi guarda, col pallone tra i piedi. “Che, voi giocà?”. Non lo dice, ma lo pensa. Io provo a fissarlo per dirgli tutto. “Magari, altro che a fa er pezzo”. Non lo dico, lo penso. Ha capito uguale. Poi. Una comitiva: giovani, abbronzati. Qualcuno con la maglia, qualcuna con la gonna. Come fai a non voltarti, mentre ti sfila di fianco. “Gino, hai cominciato a fare foto?”. Mai sottovalutarlo, Gino: lui scatta a mitragliatrice. E’ metterle in rete, che pare un casino. Ridimensiona, marchia, pubblica. Con ‘sto caldo. L’afa: c’ha ragione, Totti. E’ stato un flash: oggi. Passa davanti ai cronisti e si mette a fare battute sul caldo.
 La Roma in ritiro. In aspettative: una caterva. Come le anime capitoline che sfrecciano intorno. “Ma quanti siamo?”. Trecento, la previsione più ottimistica. E in realtà, sbagliata pure quella: al campo, assiepati in tribuna e ai bordi del terreno di gioco ce ne sono cinquecento. Allora. “In aspettative?”, chiede Gino. In aspettative, un sogno che stavolta si comincia a coltivare fin da luglio. I colori del Trentino non sembrano ammuffiti, non sono finti né deturpati. In mezzo all’azzurro di un cielo che pare incontaminato; tra i pigmenti di un’erba che se ne sente il profumo, da quant’è verde; insinuati tra i raggi di un sole più vicino di quanto lo vedi vicino a Roma. Il giallo e il rosso della truppa alle dipendenze di Claudio Ranieri. Il testaccino di sempre, ma il profilo – stavolta – pare pure un po’ greco. Sarà che c’è stato in vacanza. Sarà l’autorevolezza e la convinzione di avere tra le mani un gruppo che gli piace di già. Ogni tanto lo vedi che si assenta qualche secondo a scrutare in lontananza: “Che ce vedrà, all’orizzonte”. Forse Nicolas Burdisso, forse i soldi degli arabi. Magari ce vede la bionda che se stava a godè l’allenamento. Alta, volto candido, nemmeno troppo abbronzata. Il cervello s’è messo a riflettere – mentre Adriano sgambetta come gli altri, un po’ più gonfio della norma ma è roba che se po’ sistemà in qualche settimana. Il cervello riflette. “Mazza, so bbone le trentine”. E quella, te parte co’ n’acuto che te rintrona: “Daje, Capità”. “Mmazza: è romana”. Nemmeno le undici: la pelle brucia, ovazioni per John Arne Riise, gruppetti di due per sedute differenti. Chi fa lavoro atletico, chi col pallone.
 La folla in tribuna sembra seguire lo stesso procedimento divisorio. Due gruppi. Chi fuma, chi fa lo spuntino. Intanto, l’acqua si consuma a litri. Appare qualche birretta. I cori sono improvvisi: difficile capire chi sia il più osannato. A ognuno, un boato. In attesa che si fermino, uno alla volta, a salutare i tifosi. A fare autografi. A lasciare che le macchine fotografiche lavorino come quella di Gino. A mitraglia. “I gadget che vendiamo di più? – confessa l’omino del banchetto – Quelli su cui si può mettere la firma. Cappelli, vestitini per bambini di meno di un anno, magliette. C’è n’è una – Riscone 2010, c’è scritto sopra – che sta andando quasi esaurita in un giorno. Meglio dell’anno scorso”. Si avvicina Simplicio, applausi e grida. Le voci si confondono: baritonali quelle dei maschi. Le femmine acutizzano. A mezzogiorno il brasiliano va in conferenza. “Adriano? Tranquillo, vuole fare bene. Ranieri lo stimo di già, i suoi metodi mi piacciono”. Per la stampa, un rinfresco offerto dalla società. Si beve, si mangiucchia. Ma lo sguardo segue per metà la rosa che si perde nei meandri di qualche ora di pausa dopo il pranzo e per l’altra metà. “Oh, ma che ce sta er mare, in Trentino?”.
 Una lippa a fare le foto, Gino.
Gambe che si muovono, braccia che si incrociano, teste che si sovrappongono, lineamenti che si strusciano ad altri lineamenti. Ma quale mare. E’ la marea. Una fiumana di facce capitoline con la Magica scolpita nel cuore. “Che stai in ferie?”, dice un passante all’altro. “No, un c’avemo ‘na lira, dormimo in macchina”. Tre ragazzi, poco più che maggiorenni. Il primo pasto, per molti, è ‘n altro panino. Formaggio e affettati. Verso le tre a uno gli viene in mente che Pizarro non s’è allenato. “Ao’, ma er Pek, n’do stà?”. Replicherà poco dopo la Roma, comunicato ufficiale: “Lavoro differenziato attraverso un percorso personalizzato di recupero mirato a migliorare le qualità muscolari dell’arto inferiore destro al fine di evitare il riacutizzarsi dei problemi infiammatori accusati nella passata stagione”. Torrido, clima da profondo sud. “Ma che lo sapevi che ‘n Trentino c’era ‘sto sole?”. La montagna. Che pensi agli sci, alla neve. Per un attimo: il pensiero che possa esserci Totò a Riscone. Qualche minuto a cercare i fratelli Caponi vestiti a “freddo”: ricerca disattesa. Di maglioni non se ne vedono. Come la nebbia di Milano, direbbe quello. “C’è, ma non si vede”.
 Nitida, invece, l’immagine solare di un paese invaso dalla sera alla mattina: “Molti, molti di più rispetto allo scorso anno”, fanno sapere i referenti della comunità. Mentre la birra comincia a fare concorrenza, per litri consumati, all’acqua. Intanto appare il Capitano. Già le 17.30. Gino si avvicina. Di più. Di più. Scatta. Poi si ferma a guardarlo da posizione privilegiata. L’avrà visto, a tanto così, un altro migliaio di volte. Ma non ce la fa: anche ora, si incanta. Lo ammira. In barba ai tifosi che cominciano a esternare più di una opinione. I primi striscioni. “Chi fa la Tessera è una merda”. Che senza nemmeno rifletterci su, il significato lo capisci. “Voi in banca. Noi in bianco”. Questo, è già più sottile. Ci rifletti, ci rifletti. E a furia di pensarci, Adriano segna il primo gol e non l’hai visto. “Come ha segnato?”. Piatto. Il primo commento. Sottovoce, ma si insinua. “Ah, ah, Imperato’: che mo’, solo de piatto potevi segnà”. Sole che picchia. Mentre arriva un agoccia. “Chi è che sputa?”. Pioviggina. Piove. Diluvia. Guberti si stava scatenando nella seconda partitella. Ma arriva l’acquazzone. Inevitabilmente, con tutti i litri imprevisti caduti dal cielo, l’acqua torna ad avere evidente supremazia sulla birra consumata. Fuggi fuggi. Un invasore arriva fino a Bruno Conti. Stava sotto l’ombrellone, a bordo campo. “Pensavamo che je doveva fa’ ombra. Invece Brunetto è ‘n veggente”.
 Il dirigente regala una maglia. Il siparietto chiude la giornata. Gino non s’arrende. Foto bagnate. Ci prova. C’è Roberto Pruzzo, c’è Paolo Cento. Tutti al coperto. Ma dopo un’ora, il centro è deserto. Pare l’autostrada da sud a nord. In Trentino quando piove c’è odore di spek. Speck. “Lo spec, Gino”. Eccolo: proverbiale e pregiato affettato di questa terra che si colloca tra i monti del Settentrione e che ci voleva una fetta di Roma per portare il mare. La marea. Un bar calza a pennello: l’affettatrice taglia, sul cartello c’è scritto “Speck”. Ck. Gino scatta: l’ultima foto del giorno. Avrebbe dovuto inquadrare la scritta col nome corretto. Gli è scappata la mano. Ha preso tutto il salume. Allenamenti e sensazioni. Mentre fa buio. Ci si stanca anche così. Sotto al sole, sotto l’acqua. A tavola. A ridere. A guardarsi intorno. Soprattutto, ci si stanca già a sognare. Il primo giorno di Roma, nuovo corso. Entusiasmo da vendere.
 C’è gioia, a Riscone. Si palpa evidente ottimismo.
“Che, nnamo a ballà?”. Verso sera. Quasi quasi. Ma poi non ci vai. Domani la prima sessione del secondo giorno inizia alle nove. Meglio riposarsi. Meglio sognare. “Che ‘st’anno – je dico a Gino – se dovemo fa’ trovà pronti da subito”. Col cuscino sotto alla testa, fai proiezioni. Mentre Totti corre. Si torna a  scrivere, si riprende a scattare.
In ore, poco meno di undici. A domani. Negli occhi la marea, tra i monti del Trentino.
Dove la notte, almeno la notte, fa più fresco che a Roma.
“Hai visto, a Gì: er capitano provato da trequartista”.
“Me credevo che era de qua”, dice lui.
“Ma chi?”.
“A bbionda, me pareva una de qua. Mmazza, quann’ha detto: ‘Daje Capità’”.
“Eh”.
“Robba che uno. Me lo so’ sempre chiesto”.
“Che?”.
“’Na situazione così. Se la voi rende ‘na foto! Come la fai a scattà?”.
“Trequartista, a Gì. Robba che te cambia i piani”.
“Ma de che?”.
“Er Capitano!”.
“Già. Er Capitano. Mmazza che corpo. Quanno l’ha detto. M’ha fatto ‘mpressione. Daje, Capità”.
Che voi dì. In fondo è il primo giorno. L’intesa verrà col tempo.
RISCONE DI BRUNICO – GIORNO 1
Visco-Bavaro


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