Inter-Roma: info biglietti

 Dal sito della Roma:

CAMPIONATO STAGIONE 2010/2011
GARA INTERNAZIONALE F.C. – A.S. ROMA
DOMENICA 6 FEBBRAIO 2011, ORE 20.45
STADIO “GIUSEPPE MEAZZA”, MILANO
A.S. ROMA, su indicazioni dell’INTERNAZIONALE F.C., rende note le modalità di vendita dei tagliandi del settore ospiti per i propri tifosi.
PREVENDITA BIGLIETTI
Dalle ore 12.00 di lunedì 31 gennaio, fino alle ore 19.00 di sabato 5 febbraio 2011.
PUNTI VENDITA
Ricevitorie della rete di vendita LIS LOTTOMATICA – “biglietteria calcio ospiti” – presenti sul territorio nazionale e consultabili sul sito: http://www.listicket.it
PREZZO
€ 23,00 (Terzo Anello Blu).

Giallorosso, cemento e Dc nella storia della Roma

 Da Repubblica.it:

Giallo rosso e grigio cemento… Prova a spiegare agli americani che nella più consolidata varietà cromatica romanista il colore dei palazzinari è dominante, almeno a partire da quel provvidenziale cataclisma che fu il boom edilizio. E poi – sempre che gli americani siano interessati – trova le parole giuste per far capire che tale razza palazzinara, fuori dall’Urbe designata con il più rassicurante termine di “costruttori“, arrivò a inglobare e insieme a trasfigurare se stessa intrecciandosi sempre al vertice dell’As Roma con dilettissimi gentiluomini di Sua Santità, ma pure con quelli che per conto di Togliatti avevano eretto la fortezza delle Botteghe Oscure; e poi aristocratici in bolletta, che nell’Urbe non mancano mai, e deputati dc della riserva ciociara, quindi banchieri ebrei scampati alla deportazione, e poi ancora astuti discendenti di pastori giunti dalle pendici innevate della Laga con il guanciale per l’amatriciana, e mercanti di armi ruvidi e capaci, e bancarottieri con la collezione di soldatini di piombo bene in vista e il revolver pure, e alla fine anche petrolieri, però generosi e appassionati come non ce ne sono più.

Presidenti Roma: Pietro Baldassarre, la cessione di Amadei e parecchio amaro in bocca

 18 novembre 1944: Pietro Baldassarre indossa abiti presidenziali – li sovarppone a quelli, onorevoli, dell’attività politica – e viene insignito del titolo di massimo rappresentante della A.S. Roma. Nomina decisa dall’Assemblea dei soci mentre il conflitto mondiale teneva banco per la seconda volta nella storia.
Alle spalle, il primo scudetto della storia capitolina (stagione 1941/42) ma anche la sospensione del campionato nazionale per due anni, nel corso dei quali le squadre disputarono dei tornei locali di scarsa importanza. Casacca giallorossa, su Baldassarre, per i quattro anni successivi: il deputato del parlamento prefascista, si trova tra le mani una formazione di scarse ambizioni e nella quale si ricordano – con affetto prima ancora che per meriti sportivi – due romani di stazza limitata. L’ala sinistra Omero Urilli detto “er Zanzara”, che dopo la trafila delle giovanili nella Roma prosegue la carriera in formazioni minori (M.A.T.E.R. e Alba) per poi riapprodare in giallorosso nel 1944 e vincere la Coppa Città di Roma e la seconda edizione del Campionato romano di guerra. Il centrocampista Enrico Schiavetti, anch’egli rincasato tra i capitolini dopo aver tentato esperienze professionali a Palermo e Sora.
Il pallone è un lampo che viene e sparisce; le competizioni sono piccoli squarci su tele di dolore che riconducono alla Guerra. e tra le file della Roma di quel periodo – le squadre si somigliano tutte, in tal senso – vi sono figli della deportazione e reduci da campi di prigionia e concentramento. Ciucci, Gnemmi, Bordonali.
BALDASSARRE. Eletto deputato nel primo dopoguerra tra i radicali e confermato nella lista dei combattenti per la legislatura successiva (1921) e diventato poi massonico. Le sue stagioni alla guida dei capitolini sono un ventaglio di ricordi (più)agro(che)dolci.
 Nel 1943/44 la guerra pose un freno al campionato: tutto sospeso, le società calcistiche della Capitale continuarono la loro attività organizzandone uno Romano. Molti dei calciatori delle passate stagioni avevano alsciato Roma: Coscia, Pantò, Risorti, Brunella, Ippoliti e Donati. In panchina, il portiere-allenatore Guido Masetti: le squadre partecipanti furono A.S.Roma, Tirrenia, Mater, Juventus, Vigili del Fuoco, Avia, Alba, Elettronica, Trastevere e Lazio. S’impose quest’ultima, un punto più della Roma. Lombardini (21 gol, Lazio) capocannoniere, Amadei dietro di cinque marcature.
Nel 1944/45 stesso tipologia di campionato (partecipano A.S. Roma, Ala Italia, Italia Libera, Albaerotecnica, Mater, Lazio e Trastevere), stavolta vincono i giallorossi di quattro lunghezze sulla Lazio. Inoltre, la Roma si aggiudica anche la Coppa città di Roma battendo in finale il Mater (si gioca il 7 gennaio 1945, il risultato è 4-1).

Presidenti: Igino Betti, un “amante della Roma”

 UN CONTE A TESTACCIO – In una giornata dell’autunno del 1935 a Roma soffiò un’aria di cambiamento. Anzi, di stabilità. Perché dopo la presidenza Sacerdoti e il breve interregno di Scialoja l’A.S. Roma si compattò al timone. Nel novembre del 1935 non essendoci più nessuno alla presidenza della società, Igino Betti prese le redini della Roma come quarto presidente della breve storia del club giallo oro e rosso porpora. Dopo i colpi ad effetto dell’era Sacerdoti e dopo la breve apparizione di Scialoja il periodo di Betti (6 anni al comando, dal 1935 al 1941) fu caratterizzato da grandi speranze e progetti che andarono lentamente sfumando. Il Conte aveva avvertito pesanti disagi di pianificazione, ma nonostante questo non aveva abbandonato le sorti della Roma; lui di sangue nobile in quell’ambiente molto disordinato non depose la corona. Giorno dopo giorno si appassionò ai colori della squadra e con determinazione e rigorosità rinnovò le energie del club, d’animo e di risorse economiche. Senza raccogliere tanti successi nei suoi prima anni di presidenza, la sua Roma colse nel 1938/39 un quinto posto, ma seppe mettere le mani sul tricolore. Fu, infatti, lui ad avere la grande intuizione di portare nella Capitale Alfred Schaffer, un allenatore sconosciuto nell’ambiente italiano che guidò la squadra capitolina al suo primo storico trionfo nel 1942.

Presidenti Roma: Edgardo Bazzini. Scudetto? Succede, succede (1941/42)

 Fai il nome di Edgardo Bazzini e appare idealmente il tricolore. Perchè, con il funzionario Agip alla guida del club giallorosso, Roma conosce la gioia di uno scudetto. Il primo scudetto della storia capitolina. Anno 1941/42. Eppure, i festeggiamenti di una soddisfazione tanto grande si scontrano – per evidente cursus storico-politico – con la caccia agli oppositori del regime, i dissidenti, i dissimili, i diversi. Pensare che il rosso fuoco impresso sui tessuti della maglia romanista non faccia pan-dan col sangue versato da milioni di uomini e donne – in quel frangente – è impossibile. Infatti, il primo graffio storico della Lupa si mescola al dramma di una Seconda Guerra mondiale dagli esiti tragici. Mettere in bella vista il massimo trofeo nazionale è una sensazione dolcissima e amara, perchè la bacheca giallorossa – in quel caso – non poteva essere altro che un timido raggio di luce rispetto alla violenza che si respirava nelle piazze, tra le vie, dentro i cunicoli di un Paese devastato.
Negli anni del Fascismo, pallone e politica rotolavano pressochè in simbiosi. Quella manciata di mesi di presidenza affidata prima ad Antonio Scialoja e poi a Igino Betti – entrambi passati a miglior vita precocemente – corrispondono a momenti grigi – sportivamente parlando – per la A.S. Roma che a cavallo tra i Trenta e i Quaranta ha sulle spalle poco più di un decennio di vita e un paio di finali di Coppa Italia perse nel corso degli ultimi 90′.
Il campionato del 1941. Tra un’incarcerazione e una fucilata, sulla massima poltrona della società si sedette Edgardo Bazzini, emiliano nativo di Parma (1867) e ricordato – ancor prima che per i suoi incarichi sportivi – per il legame professionale con Agip. Era estate piena, c’era caldo e diffidenza. L’afa di temperature che superavano in maniera consueta i 30 gradi, lo scetticismo di vedere la Roma consegnata nelle mani inesperte di chi – nella vita – faceva ben altro. Ancora: dal Testaccio, dove i capitolini avevano fino ad allora disputato tutte le partite casalinghe, al Nazionale (ubicato dove ora sta il Flaminio) con un bagaglio misero così. Quello dell’undicesimo posto in classifica raggiunto l’anno precedente: poco per credere in una inversione di rotta e rendimento. Anche perchè, le prospettive – nuovo Presidente, campagna acquisti da inventare – sono tutt’altro che rosee. E invece.
 Edgardo Bazzini è un uomo piccolo di statura e in tutte le foto ufficiali che risalgono a quegli anni lo si nota immediatamente: in mezzo a calciatori e uomini della dirigenza, è quello che arriva ad altezza ascella. Minuto e robusto, gioviale, da alcune angolazioni sembra panciuto. Fin qui, ci si arriva con gli occhi: vedere.
Ma il resto. Lo raccontano i fatti. Roba che – certe volte – ti togli il cappello e dici scusa. Per averlo pensato.
Bazzini da Parma, funzionario Agip tira fuori un carattere da vendere e intuizioni vincenti. La prima: confermare in panchina l’allenatore austriaco Alfred Schaffer. La seconda: campagna acquisti lungimirante con gli innesti, tra gli altri, di Renato Cappellini dal Napoli, Edmondo Mornese dal Novara, Sergio Andreoli dal Perugia. La terza: dare piena fiducia a uno che, giallorosso, lo era fino al midollo. Amedeo Amadei, che se pensi all’attaccante ti vengono in mente 386 presenze, 101 reti, l’esordio in serie A all’età di 15 anni, 9 mesi e 6 giorni.
Un aneddoto rispecchia al meglio quei giorni.

Presidenti Roma, Renato Sacerdoti: l’eroe di Testaccio fa grandi i giallorossi

 IL BANCHIERE DI TESTACCIO – Marzo 1928, un anno dopo la sua fondazione, l’A.S. Roma cambia comandante. La primavera è alle porte e a Trigoria soffia una brezza di cambiamento: Renato Sacerdoti succede ad Italo Foschi e diviene il secondo Presidente della squadra dai colori giallo oro e rosso porpora. E con lui inizia l’era di Campo Testaccio. Nato a Roma il 20 ottobre 1891 è ricordato come uno dei “grandi padri” della società di Trigoria, proiettando la Roma nelle grandi potenze del calcio italiano. La sua personalità, il suo fiuto imprenditoriale e la sua mano dura hanno caratterizzato la storia giallorossa per trent’anni. Banchiere di professione e proprietario di tenute agricole ereditò la squadra a campionato in corso, riuscendo nell’impresa di qualificarla per la futura serie A da terza nel girone. Grazie anche ad un esborso monetario elevato. Nel suo primo anno di gestione, infatti, acquistò Fulvio Bernardini dall’Inter e Rodolfo Volk dalla Fiumana. Il primo, raffinato centrocampista, entrò nei cuori dei tifosi giallorossi portando con onore la fascia di capitano sul braccio per dieci stagioni (a lui è dedicato il centro sportivo di Trigoria); il secondo, un attaccante alto e potente da venti gol all’anno.Volk – italianizzato Folchi durante il periodo fascista –  divenne uno dei primi eroi di Campo Testaccio, dove fu il primo a segnare una rete ufficiale.
L’ERA DI TESTACCIO – Sacerdoti porta la Roma a lottare con i grandi club del nord: con la stagione 1929/30 viene varata ufficialmente la serie A. Le squadre partecipanti al campionato sono 18, iscritte in un unico girone. Tra queste, anche la Roma. Per l’occasione Sacerdoti costruisce un nuovo stadio, più facile da raggiungere rispetto al Motovelodromo Appio: il Campo Testaccio.

Presidenti Roma: Italo Foschi, forte come la morte è l’amore

 ROMA PER SEMPRE. Nascere a Corropoli e morire al Flaminio. La vita di Italo Foschi, primo Presidente della storia giallorossa, arriva al capolinea per lo stesso motivo che ne aveva suggellato l’essenza. Di Roma ci si vive – lo raccontano i cuori capitolini che pulsano all’unisono tra i cunicoli della Capitale, le ansie che fermano il tempo quando si riempie l’Olimpico, le generazioni che si passano il testimone di una passione “per amore solo per amore”. Poi, tra le casseforti di biografie che appartengono alla storia di un mondo antico come nulla di simile, grande così, scopri che di Roma ci si può anche morire. Allora, cambia la prospettiva e si modifica la visuale nel tempo in cui il flusso degli eventi mette nelle condizioni di trovare assonanza tra vocaboli distanti come il giorno e la notte. Come la Lazio e la Roma.
ANCORA SAMPDORIA.
Perché, accostare “morte” e “amore” non continua a essere un mero esercizio poetico di cui sarebbero capaci, semmai, i cantastorie ma diventa la presa d’atto di una vita avvolta da vessilli pigmentati di giallo e coloriti di rosso. Non succede, ma se succede che un giorno di marzo alla vigilia della primavera del 1949 il primo Presidente della storia calcistica della A.S. Roma capitomboli a terra per un infarto dopo aver saputo che la sua squadra stava perdendo a Genova per 2-0 contro la Sampdoria, si corre il rischio che più d’uno – tra i romanisti domiciliati sotto il Cupolone – incappino nella stessa sorte. Ancora i blucerchiati a corrodere la gloria della Magica, le solite due marcature a determinare silenzio di tomba. Avrà pure buttato un occhio, da lassù, Italo Foschi dopo il triplice fischio di Damato. E se non è morto un’altra volta – Pazzini, gol; Pazzini, gol – è solo perché avrà imparato a riderci sopra. Alle beffe del destino.
ITALO FOSCHI.
Quindici minuti del tempo di un romanista, ne vale la pena. Un racconto semplice e lineare, a tal punto rettilineo che anche i sogni, a un certo momento, sarebbero stati incapaci di immaginarlo. Per un capitolino, sta nell’ABC da imparare una volta e non scordare più. A tutti gli altri, l’ho già detto. E’ anche una storia da perderci un chilo al secondo.
Viscerale come i passi dei primitivi, con l’irrazionalità dei fiumi in piena. Bella di una bellezza carnale ma poi tanto lineare e cristallina che neppure il Candido. Di Voltaire. Ci sono date e località geografiche, attimi che non se li porta via nemmeno la tramontana, suggestioni a cui non si potrebbe opporre manco Niccolò Ghedini, personaggi che fanno parte dei libri di scolastica. E gol, parate, dribbling e incursioni, fughe sulle fasce laterali, interventi degli stopper a falcidiare l’avversario, gocce di sudore sempiterne come i monumenti dell’Impero.  E battiti; pulsioni irrinunciabili come la verità, prorompenti più delle maree,  da assecondare senza via d’uscita secondaria. Le gioie prive di misura e la tristezza dei motori che non ingranano. Organi vitali tanto deboli e cagionevoli quanto illimitati ed esclusivi. Che tanto – direbbe Coelho – nessun cuore ha mai provato sofferenza quando ha inseguito i propri sogni.

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