Presidenti Roma, Renato Sacerdoti: l’eroe di Testaccio fa grandi i giallorossi

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 IL BANCHIERE DI TESTACCIO – Marzo 1928, un anno dopo la sua fondazione, l’A.S. Roma cambia comandante. La primavera è alle porte e a Trigoria soffia una brezza di cambiamento: Renato Sacerdoti succede ad Italo Foschi e diviene il secondo Presidente della squadra dai colori giallo oro e rosso porpora. E con lui inizia l’era di Campo Testaccio. Nato a Roma il 20 ottobre 1891 è ricordato come uno dei “grandi padri” della società di Trigoria, proiettando la Roma nelle grandi potenze del calcio italiano. La sua personalità, il suo fiuto imprenditoriale e la sua mano dura hanno caratterizzato la storia giallorossa per trent’anni. Banchiere di professione e proprietario di tenute agricole ereditò la squadra a campionato in corso, riuscendo nell’impresa di qualificarla per la futura serie A da terza nel girone. Grazie anche ad un esborso monetario elevato. Nel suo primo anno di gestione, infatti, acquistò Fulvio Bernardini dall’Inter e Rodolfo Volk dalla Fiumana. Il primo, raffinato centrocampista, entrò nei cuori dei tifosi giallorossi portando con onore la fascia di capitano sul braccio per dieci stagioni (a lui è dedicato il centro sportivo di Trigoria); il secondo, un attaccante alto e potente da venti gol all’anno.Volk – italianizzato Folchi durante il periodo fascista –  divenne uno dei primi eroi di Campo Testaccio, dove fu il primo a segnare una rete ufficiale.
L’ERA DI TESTACCIO – Sacerdoti porta la Roma a lottare con i grandi club del nord: con la stagione 1929/30 viene varata ufficialmente la serie A. Le squadre partecipanti al campionato sono 18, iscritte in un unico girone. Tra queste, anche la Roma. Per l’occasione Sacerdoti costruisce un nuovo stadio, più facile da raggiungere rispetto al Motovelodromo Appio: il Campo Testaccio.

Il nome lo lega strettamente al quartiere che lo ospita, a ridosso del Rione Trastevere, lo stesso che ha dato i natali a Ranieri. A progettarlo fu l’ingegnere Silvio Sensi, padre di Franco e nonno di Rosella, attuale presidente della Roma. Ispirato sul modello degli stadi inglesi – e dell’Everton in particolare – costato all’incirca un milione e mezzo di lire al presidente, e dotato di quattro tribune in legno verniciate di giallorosso, con una capienza di ventimila spettatori e con il manto erboso, cosa rara per quei tempi.  La costruzione del nuovo impianto sportivo, causa, però, proteste nei confronti di Sacerdoti, accusato di aver dissipato ingenti somme di denaro. L’impianto viene inaugurato il 3 novembre 1929, con la vittoria sul Brescia per 2-1; questo teatro del calcio legò la sua storia a doppio filo con il presidente Sacerdoti e diventò per dieci anni il palcoscenico della Roma che regalava imprese storiche tra le sue mura, totalizzando più di cento vittorie ed oltre trecento reti. L’urlo ed il sostegno dei tifosi diventano al Testaccio un elemento distintivo. Il Colosseo dei gladiatori romani, il tempio dove tutte le squadre cadevano e ne uscivano sconfitte. Nella stagione 1939-40 la Roma disputa l’ultimo campionato a Testaccio; l’addio è datato 30 giugno del 1940 durante l’ultima gara contro il Livorno: 2-1 il risultato.
GUERRA E PACE – Ma Sacerdoti è anche un presidente tenace; celebri le sue reazioni dopo alcune sconfitte pesanti. Arriva persino a sospendere i due giocatori più rappresentativi: Ferraris IVBernardini, colpevoli di un ammutinamento in allenamento in seguito ad una multa presidenziale. Il caso si concluse con l’intervento della Federazione. Proprio Bernardini, però, qualche anno più tardi, lo definì dotato di “onestà e correttezze assolute”. Nel giugno del ’35, con il conflitto mondiale alle porte, deve abbandonare Roma e la Roma poiché finito nelle mire fasciste. Lui, ebreo, dovrà aspettare la fine del conflitto per riappropriarsi della società, nel 1949, come vicepresidente.
LA RINASCITA GIALLOROSSA – Nella stagione 1950/51, l’anno della serie B, Renato Sacerdoti è richiamato alla presidenza della società di Trigoria. Il «banchiere di Testaccio» vuole riportare la squadra a livelli alti, quelli raggiunti nel periodo della sua prima presidenza. Il progetto ha subito successo con l’immediato ritorno nella serie maggiore, grazie anche all’idea del socio vitalizio, lanciata da lui: dietro pagamento di un certo importo chiunque poteva diventare socio del club giallorosso e frequentarne la sede. Questa idea porta denaro fresco nelle casse di Trigoria, liquidità spesa per restituire solidità alla società e un posto tra le grandi del nostro paese e d’Europa. Non riesce però a costruire una Roma in grado di vincere uno scudetto, dopo quello conquistato nella stagione 1941/42 sotto la guida del presidente Bazzini. Col passare degli anni alcuni soci vitalizi montarono su di lui una feroce contestazione che gli costò la presidenza nel 1958. Negli anni sessanta rimane vicino alla Roma come dirigente, ma allontanò definitivamente la sua storia da quella della Roma nel 1967. In un giorno d’autunno di qualche anno più tardi, il 13 ottobre 1971, scomparve il secondo presidente della storia giallorossa. E con lui un pezzo di Roma, della vera Roma, quella testaccina.
Marco Visco


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