Roma, Ranieri e quattro mesi di fuoco: visto Moratti con Benitez?

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 PER CAPIRE. Si immagini uno come Mourinho presentarsi per mesi in conferenza stampa con un mazzo di fiori per ciascun giornalista. Spettatori sconvolti, ne morirebbero gli stessi giornalisti. Forse appassirebbero seduta stante pure i fiori. Per questo, volenti o nolenti, alcune constatazioni spiazzano proprio mentre irrompono con veemenza. D’improvviso, il vento è cambiato. Da alter ego di una mentalità diametralmente opposta – alla Mourinho, diremmo per intenderci – Claudio Ranieri si è di punto in bianco trasformato. Non più il volto della serenità, non più l’emblema di un modo pacato e signorile di intendere il calcio e affrontare ciò che gli gravita intorno ma la trasposizione di maniere “crude e gagliarde”. Nei confronti della squadra, nei confronti della stampa. Rispetto ad accuse e critiche, continua a esserci, da parte del testaccino, una necessità non sempre comprensibile di difendersi, fuori dal rettangolo di gioco, attaccando. Mentre in campo, la rosa sembra dover seguire alla lettera un dogma: quello di badare alla fase di retroguardia prima ancora che a quella offensiva. Ossimori. Solo nei confronti dei tifosi, per i quali le parole spese dal tecnico giallorosso non hanno mai peccato di mancanza d’affetto e riconoscenza, il romano ha saputo conservare coerenza rispetto alle vecchie maniere.

CONTESTO. Non è la cavalcata inattacabile sotto ogni punto di vista della passata stagione, semmai un periodo di complessità più o meno marcate ed evidenti: la Roma di inizio campionato sembrava un gruppo a pezzi e da ricostruire. Si è parlato, allorchè i risultati non arrivavano, della mancanza di motivazioni, di una preparazione atletica criticabile, di non-gioco: il campo mostrava calciatori fiacchi mentalmente e stanchi fisicamente. In quattr’e quattro otto, il clima da “famiglia allargata” di Riscone di Brunico – con una fetta cospicua di tifosi al seguito (quale altro tifo può vantare un credito simile nei confronti dei calciatori che ne rappresentano il club?) è parso sfaldarsi. Ha inciso la confusione di una società parsa tale, troppe volte, solo sulla carta: di fatto, il periodo lunghissimo del passaggio di consegne dalla famiglia Sensi al fantomatico prossimo presidente non è indolore e ha prodotto momenti di evidente confusione. Gli strascichi di un mercato nel complesso più che sufficiente ma sempre risicato e centellinato a causa di impedimenti oggettivi (no money, no fenomeni) si sono affievoliti solo quando Unicredit ha garantito il lasciapassare per mettere le mani sul cartellino di Marco Borriello. Neppure la banca, tuttavia, ha potuto risolvere le situazioni di criticità contrattuali di alcune pedine della squadra (Mexes su tutti) e dello stesso Ranieri. Il testaccino andrà in scadenza la prossima estate e, nonostante le migliaia di garanzie ricevute da Rosella Sensi in merito al rinnovo, non ha ancora prolungato. E non certo per volontà sua.

PRIME VOCI. Dati di fatto: Ranieri cambia modo di approcciarsi a situazione e persone in corso d’opera. Scelta ponderata? Cominciamo con la realtà oggettiva che aiuta ad avere il quadro: a montare malumore e preoccupazione nel testaccino, quindi, c’è evidentemente il continuo procrastinarsi dei termini di accordo con il club per rinsaldare patto e rapporto. “Basta una stretta di mano”; “ci si vede presto”; “nessun problema”; “mi basta la parola”. Che non sia proprio come la facciata lascerebbe intendere, tuttavia, lo si capisce con il passare dei giorni, la carenza di risultati, le prime voci a infiammare l’ambiente già tossico. Caratteri cubitali di una stampa che non fa nulla di più e nulla di meno rispetto al solito: raccoglie tasselli e li mette in fila. Ricostruzioni da ottobre 2010: “Lippi in arrivo”; “Sondaggio per Ancelotti”; “Ranieri rischia l’esonero”; “Domenica decisiva per il testaccino”. Soprattutto l’ultimo, è un titolo letto con cadenza frequente: più di un appello, per l’allenatore, che ha vissuto con l’ombra di un nuovo tecnico per un mese abbondante.

CRISI. L’impressione è che, a un certo momento, il testaccino sia scoppiato. E che abbia reagito con una determinazione nuova ma, tocca confessarlo, simile a quella di chi lotta per sopravvivere. “Ho il destino nelle mani? – è parso di leggerci – e allora me lo gioco da me”. Da qui, improvvisi cambi tattici, imprevedibilità nel modulo, l’affidamento alla panchina lunga, la scelta di privilegiare una sana competitività tra calciatori che – tolti quattro, cinque titolari inamovibili – non hanno la certezza del posto. Diciassette gare in campionato e altrettante formazioni differenti: il giochino degli addetti ai lavori non è più quello di indovinare la coppia di centrali difensivi (e quale dei tre andrà in panchina) ma di riuscire ad assemblare anche il resto della formazione. Perchè ogni pre-gara smentisce la formazione della vigilia letta su ciascun quotidiano. Chi gioca di punta? Chi va sulla fascia? Quali sono i centrali di centrocampo? Il dubbio è che se fatica a rispondere il tifoso, se trova difficoltà a riferirlo la stampa tali incertezze aleggino pure a Trigoria e nella mente di Ranieri. Essere titubanti nel mettere al fantacalcio i giocatori della Roma è il minore dei mali: la constatazione, semmai, è che disporre di una panchina lunga non può voler significare assenza di un undici base. In tale frangente, anche le vittorie più significative – com quella in casa contro il Bayern o quella di San Siro contro il Milan – non sono in realtà convincenti perchè figlie di imprese che si scrivono una volta in una stagione o di casualità. Continuo a non capire le scelte tecniche se il presupposto è che i panchinari sappiano non far rimpiangere i titolari a patto che questi, i titolari, siano assenti. Un esempio su tutti: c’è stato un periodo in cui Simplicio sembrava di troppo, un pesce fuor d’acqua che Ranieri lasciava boccheggiare nel suo destino senza neppure dargli un’opportunità. Poi, da un giorno all’altro, il brasiliano diventa inamovibile al punto da soffiare il posto a Pizarro e stravolgere lo schieramento della mediana. No-sense. A meno che, per davvero, non ci si debba rassegnare a una stagione di sofferenza nel corso della quale il gioco giallorosso sia solo tutela della porta e ripartenza.

LE FRASI. Per diversi e molteplici motivi, Ranieri è cambiato. Alcune tra le frasi che hanno corredato l’ultima porzione di 2010. Mittente: Ranieri. Destinatari: stampa e calciatori. “Ci ricorderemo di chi ci sta buttando il fango addosso, ricordatevelo anche voi”. “So che ad alcune persone piace lavorare nell’ombra, ma io vado avanti”. “C’è chi si muove nell’ombra, qualcosa c’è, di Lippi avete parlato voi, ma qualcosa deve esserci”. “Nel primo tempo non abbiamo fatto un fallo o vinto un contrasto. Il perché? Io lo chiedo ai giocatori, ma non mi sanno dare risposte”. L’attacco diretto agli opinionisti di Sky; il monologo di 9 minuti in conferenza con accuse alla stampa a poche ore da Roma-Bologna; la replica alla stampa laziale dopo il derby vinto dalla Roma “ve state a attaccà al fumo della pipa”. Nel one-man-show – costante, certosino – neppure il più fedele dei tifosi avrebbe potuto assecondare in toto le dichiarazioni del mister. Primo: perchè la sensazione percepita è che Ranieri abbia perso il controllo del gruppo. Secondo: un Ranieri versione picconatore, alla lunga, rischia di essere controproducente per se stesso. Rischia di stufare. E di bruciare terra intorno a sè. Come Mourinho. Che può permetterselo solo perchè ovunque vada, vince.

SPOGLIATOIO. Lo spogliatoio non è tanto compatto quanto gli anni scorsi: vi sono decine di episodi per dirlo. L’allenatore è statao criticato in più di una circostanza dai suoi stessi calciatori: quelli che giocano meno? Non solo, se nel novero di chi fatica (o ha faticato) a digerirne scelte e credo calcistico vi sono “tizi” che rispondono ai nomi di Totti, Pizarro, Burdisso, Vucinic. Ovvero: l’ossatura della Roma degli ultimi anni nonchè pedine inamovibili della passata stagione giallorossa, quando alla guida c’era già Ranieri. Il tecnico in bambola? Ranieri spavaldo? Ranieri dead coach walking? Prima di aggiungere tasselli alla riflessione, una cosa è certa: se da un lato il testaccino paga l’instabilità finanziaria di una società in uscita che fatica a trovare soldi per il rinnovo, dall’altro è sembrato avvantaggiarsi della stessa instabilità in quei frangenti nei quali lo stesso Ranieri pareva con un piede e mezzo lontano dalla panchina della Roma. In soldoni: ci fosse stato Moratti al posto della Sensi, con ogni probabilità la Roma avrebbe, da qualche mese, un altro allenatore. Il fatto è che, se da un lato Moratti può permettersi il vezzo di ricompattare la rosa cacciando il tecnico che in quattro mesi gli ha regalato la Supercoppa italiana e Mondiale per Club, a Roma tali privilegi non esistono. Soldi non ce n’è e, se anche i panni logori non si possono buttare, figurarsi quelli sporchi. Inoltre, mi viene da dire: semmai nel calcio debba esistere riconoscenza (e credo sia così), Ranieri non dimentichi che gli anni di Spalletti non possono, per intensità e gesta, essere ancora paragonati all’era del testaccino. E non dimentichi, di rimando, quanto aspro è stato, a suo tempo, l’addio con Spalletti verso il quale, certo, non ci si è risparmiati in critiche (tutte giuste? tutte fondate? tutte riconoscenti?).

LIBRO PAGA. Osservare e ascoltare Ranieri in quest’ultimo periodo è significato lasciarsi sommergere dai dubbi: anche chi – sono tra questi – prova stima per il testaccino ne esce – dagli ultimi mesi – frastornato. Diventa inevitabile, al di là di quanto detto, sperare che Milano sia stato passaggio ancor più importante di quanto dicano i tre punti strappati. Augurarsi una compattezza vecchio stile e unità di intenti. Preme però ricordare a Ranieri che il gioco delle parti prevede che sia dovere professionale di un giornalista muovere critiche ai protagonisti. E da nessuna parte sta scritto che quelle critiche debbano essere per forza di cose costruttive. A meno che, ma è altra storia, non si finisca a libro paga. E anche in quel caso, direbbe De Rossi, ci sono papponi che a Trigoria comandano e lontano dal Fulvio Bernardini intrecciano trame volte ad arrecar danno alla squadra.


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