Ovunque tu sarai io non ti lascerò mai

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 Roma-Milan s’è giocata davanti a un Olimpico tutto pieno: le impressioni suscitate dal tifo sono pane quotidiano per Il Romanista che racconta l’aria che si respirava ieri tra la gente:

C’è sempre un ritorno. Roma-Milan è il racconto di una storia d’amore. E l’amore torna sempre, quando ha un posto dove tornare. Roma-Milan è il sentimento più puro che c’è, quello dei tifosi verso una maglia e dei colori che se non lo provi, purtroppo per te, non puoi capire. E’l’amore di settanta- mila – non serviva la calcolatrice per contarli, bastava aprire il cuore – anime che sono tornate a riempire l’Olimpico come non succedeva da mesi, se non anni. E’ la gente davanti ai cancelli già alle 5, le macchine in tripla fila che tanto «se escono prima loro c’aspettano». E’ Vincent Candela che vede la partita in Curva, coi ragazzi che gli dedicano i primi cori già dalle sei, quando il sole ancora deve tramontare (e gli ultimi quando sono le 11) e molti chiamano gli amici: «Qui è già pieno, sbrigatevi».

E’ l’applauso alla fine, nonostante la delusione, è il sospiro quando Juan, all’ultimo secondo, manda sopra la traversa. «Sarebbe stato antistorico», commenta qualcuno. Roma- Milan è il tifoso che un po’ polemizza «ma dove stavano tutti questi il giorno della partita col Chievo? O quando abbiamo perso in casa col Livorno?», ma poi è il primo ad essere felice per l’atmosfera che si respira. E’ il ragazzo che ha litigato con la fidanzata perché «è il nostro anniversario, ma poteva inventarsi di tutto, io stasera sto qua, del resto se ne parla domani». C’è sempre un ritorno. Roma-Milan è il ritorno allo stadio di tutta quella gente che, negli ultimi tempi, diceva di essersi un po’ staccata dal tifo. Per molti è la prima, in questa stagione. Non c’è stata Roma-Juve, anche se era agosto e parecchie persone erano ancora in ferie; non c’è stato derby, perché in fondo era la sfida contro l’ultima in classifica, o giù di lì. Non c’è stato Panathinaikos. Neanche dodici mesi fa contro l’Arsenal c’era stato il tutto esaurito. Segno che qualcosa, i ragazzi di Ranieri, l’hanno trasmesso. Luca dice: «Questa squadra sta correndo a trecento all’ora da tre mesi, si merita qualcosa del genere». Verso le 7 lo stadio inizia a riempirsi. Vengono montati i primi striscioni, si scalda la voce. Giulia si pente di «essere entrata così presto, ma avevo l’ansia del traffico. Mi sarebbe piaciuto arrivare cinque minuti prima per vedere l’effetto di un Olimpico già pieno». A pochi metri di distanza da lei, in Monte Mario, ci sono Filippo e Marco. Il primo ha 43 anni, il secondo 30 di meno. Vengono intervistati da una tv inglese: «E’ la seconda volta che porto mio figlio allo stadio – spiega il papà – questa volta l’idea è stata sua, perché io sarei rimasto volentieri sul divano. Solo che non potevo dirgli di no, anche perché tra qualche giorno sarà il suo compleanno e poi avevamo fatto una scommessa». Quale, non lo dice. Saluta gli inglesi, compra un Cornetto (il freddo, questo sconosciuto…) ed entra, accanto al figlio. Soffrono, strillano, si lamentano «perché non tiriamo mai in porta» e il sorriso, col passare dei minuti, un po’ si spegne. Il loro, come quello di tutti gli altri. Ma torneranno. Torneremo. Perché «ovunque tu sarai io non ti lascerò mai». C’è sempre un ritorno. No, quasi sempre. Qualcuno, un giorno, è andato a Milano e non è più tornato. Sono passati più di vent’anni. Sembra ieri. Anche se, ieri, Antonio allo stadio c’era. Il suo cuore batteva insieme agli altri.


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