Roma made in Brasile: da Falcao ad Adriano. Dall’ottavo Re all’Imperatore. Tante gioie, qualche flop

di Redazione Commenta


 Quando il giallorosso si sposa con il verdeoro è una gozzoviglia di emozioni e ricordi indelebili. La Roma sta per infoltire ulteriormente la proprio rosa con i colori del Brasile. Un legame non nuovo per i capitolini, che hanno sempre avuto un feeling particolare con i calciatori carioca. Non tutti hanno avuto fortuna, come d’altronde sempre accade nel calcio, ma certamente ve ne è un gran numero che i tifosi della Roma non ha dimenticato.
Adriano e Simplicio: sempre più una Roma brasilera
– Gli ultimi due della folta colonia brasiliana, saranno il centrocampista in uscita dal Palermo – Fabio Simplicio – e l’attaccante del Flamengo – Adriano (ex Inter, Parma e Fiorentina).
 La trattativa per portare il forte attaccante nella Capitale, secondo quanto riportato dalla stampa brasiliana e più precisamente dal quotidiano “O’ Globo”,  si sarebbe chiusa già nella notte, con il raggiungimento di un accordo verbale tra il giocatore e il ds giallorosso Daniele Pradé (che, nelle ultime ore, ha reso pubblica la voglia di Adriano di non considerare alcuna altra squadra al di fuori di quella capitolina). L’ufficialità potrebbe dunque arrivare già nelle prossime ore o da domani e nei giorni a venire. Molto più semplice la situazione legata al centrocampista ex Parma e Palermo, visto che entrando in stato di svincolo e avendo da tempo raggiunto l’accordo con la società giallorossa, può già considerarsi un giocatore della Roma al 100%.
 Falcao, il mito
– Come detto però, sono tanti i giocatori brasiliani passati da Trigoria. Forse – che sì, si tolga pure il forse – il più grande di tutti i brasiliani-giallorossi è stato Paulo Roberto Falcao. Cinque anni indimenticabili (1980-85) con la maglia n.5 sulla spalle, 107 partite disputate condite da 22 reti. Falcao (l’Ottavo Re di Roma) è stato un centrocampista con qualità tattiche sorprendenti per un giocatore brasiliano: estremamente rapido e con eccellenti doti tecniche e atletiche, il più celebre esponente di una scuola di moderni centrocampisti verdeoro che ha prodotto nel tempo eredi quali Dunga ed Emerson. Giocatore estremamente versatile, era indifferentemente utilizzabile nel ruolo di mezza punta, centrocampista centrale o di centrocampista difensivo. Come però troppo spesso accaduto ai grandi campioni, fu limitato in maniera evidente da un infortunio grave (al ginocchio) nel 1985 e dopo un anno di convalescenza non tornò più nella condizione atletica ideale.
 In seguito tornò in Brasile per finire la carriera nel Santos, dove disputò le ultime 10 partite della sua splendida stagione professionistica. In quegli anni, esattamente dal 1983 al 1986, vestì la maglia giallorossa anche Toninho Cerezo, centrocampista difensivo che poi andò a vincere lo scudetto nel 1991 con la maglia della Sampdoria. E a Genova, non per altro, lo ricordano più che nella Capitale.
Aldair, la bandiera
– Dopo Falcao, o meglio, insieme a Falcao, non può che esserci Aldair Nascimento do Santos, detto “Pluto”. Arriva nel 1990, quando il presidente Viola lo acquistò dal Benfica sotto consiglio dell’allenatore Sven Goran Eriksson.
 Nella capitale Aldair resta per ben tredici anni
(415 presenza con 20 gol all’attivo), imponendosi come uno dei difensori più forti del mondo; grazie a eleganza e classe, diventa la colonna portante della difesa romanista e della nazionale brasiliana per più di un decennio. Nella sua prima stagione con la squadra capitolina vince una Coppa Italia; negli anni ’90 si guadagna la fascia di capitano, alla quale rinuncerà nella stagione 1998/99 per cederla all’allora talento emergente Francesco Totti. Nell’anno del terzo scudetto, la difesa della Roma è una delle più forti del campionato grazie ad Aldair, al connazionale Zago ed al “Muro” Samuel; purtroppo per lui, però, dovrà saltare le ultime giornate di quel campionato a causa (manco a dirlo. Infermeria Roma, certe volte…) di un grave infortunio e, dopo la fatidica Roma-Parma sarà costretto a festeggiare con la gamba fasciata. Coi giallorossi gioca altre due stagioni, cominciando a sentire gli acciacchi dell’età; decide perciò di lasciare la società nell’estate del 2003.
 Paulo Sergio, Zago, Cafu, Emerson
– Non in ordine di importanza, ma di approdo in giallorosso. Certamente gli ultimi due hanno scritto pagine importanti della storia romanista, specie in funzione dello scudetto conquistato nel 2001 alle dipendenze di Fabio Capello. Non è un caso che Cafu fu corteggiato (e poi acquistato) dal Milan che ancora poteva permettersi di spendere milioni a palate e di cui divenne una colonna; il “Puma” Emerson, erede ideale di Falcao, seguì invece Fabio Capello alla Juventus, con cui entrambi vinsero altri due scudetti (poi revocati in seguito al cataclisma di Calciopoli). Paulo Sergio fu espressamente richiesto dall’allora tecnico Zdenek Zeman: nel gioco offensivo del boemo, il brasiliano divenne un punto fermo del tridente d’attacco giallorosso, segnando 24 reti in due stagioni. Meno brillante il trascorso di Carlos Zago, che sarebbe dovuto essere – nelle speranze – il successore di Aldair, ma che, chiuso dal mito del centrale brasiliano e dall’astro nascente di Walter Samuel detto “The Wall” (Il Muro), non riuscì ad imporsi.
 Mancini, Cicinho, Taddei, Julio Baptista, Juan
– Questo gruppetto rappresenta il presente e il recente passato della colonia di brasiliani di cui si compone (o s’è composta) la rosa giallorossa. Tutti ancora sotto contratto con la Magica, eccezion fatta per Cicinho, che ha lasciato la casacca giallorossa a gennaio, e Amantino Mancini: il forte esterno d’attacco ha vissuto anni importanti a Roma, per poi decidere di fare il salto (solo che, ahilui, l’ha fatto all’indietro) andando all’Inter di Mourinho (lo ha voluto l’omonimo Mancini ma non ha fatto in tempo a goderselo. Esonerato dopo la vittoria dello scudetto). Scelta che si rivelerà sbagliata, visto il clamoroso flop del brasiliano, poi girato in prestito (storia di pochi mesi fa) al Milan di Leonardo. E, nemmeno lì, ci sono tracce visibili riconducibili a Mancini. Rodrigo Taddei è attualità. Passato alla storia per il numero chiamato “Aurelio”, il carioca che esulta pompandosi il petto con la mano è in scadenza di contratto (si sta trattando ma, nonostante l’ottimismo, non si sa al momento quale possa essere il suo futuro). Julio  Baptista – la “Bestia” – proveniente dal Real Madrid, avrebbe dovuto consentire un salto di qualità all’attacco capitolino: ha vissuto a corrente alternata le prime due stagioni con la casacca giallorossa. Da protagonista assoluto di alcune partite, a ombra di se stesso in altre: potrebbe anch’egli dire addio durante l’estate per consentire alla società di fare cassa (Spagna? Inghilterra?). Juan è quello che ha più possibilità di restare. Nel senso che non andrà via a meno di offerte clamorose. Vuoi perché è una colonna portante della retroguardia giallorossa (l’ha presa in mano, Aldair dichiara qualche giorno fa “E’ fortissimo”, quasi a consegnargli l’eredità), vuoi perché la società sembra orientata – eventualmente – a rimpinguare l’economia del club con la cessione di Philippe Mexés (priorità, il riscatto dell’argentino Burdisso dall’Inter).
 Julio Sergio, Doni, Artur
– Strano a dirsi, ma la Roma è stata capace di essere l’unica squadra europea ad avere un trio di portieri tinto di verdeoro. Caso più unico che raro, anche perché il Brasile – per antonomasia – non s’è mai distinto per la qualità degli estremi difensori con passaporto carioca (la storia fresca di queste stagioni, tuttavia, pare smentire sempre più la diceria: giungano su tutti proprio gli esempi di Taffarel, dell’interista Julio Cesar, del Dida rossonero dei tempi d’oro e, appunto, del duo giallorosso Doni-Julio Sergio). Tra l’altro, il duello tra i due numeri uno giallorossi ha visto – durante l’ultima stagione – un cambio tra i pali: Doni, per due anni colonna portante della retroguardia disegnata da Luciano Spalletti, è stato scavalcato in ordine di preferenza (complici un infortunio al ginocchio e prestazioni non più all’altezza) da Julio Sergio, che è diventato punto fermo da quando Claudio Ranieri è diventato il tecnico della Roma. Il giovane Artur invece, non è riuscito ad emergere, proprio perché oscurato dal binomio di cui sopra che – almeno al momento – gli è senz’altro superiore per esperienza e affidabilità.
 Le meteore Andrade, Renato e Fabio Junior
– Chiosa con volti che sono assimilabili ai flop clamorosi: il rischio per tutti quelli che puntano sul calciomercato sudamericano e straniero è proprio quello di scoprirsi circondati da atleti deludenti e sopravvalutati. Tale sorte è toccata in dote anche alla Roma: casi famosi che riguardano giocatori come Andrade, Reanato o Fabio Junior. Il primo, giunse alla Roma nell’estate del 1988, acquistato per un miliardo e mezzo di lire: doveva essere il nuovo Falcao, tanto che i tifosi giallorossi lo soprannominarono “Marajah”. Ben presto, tuttavia, ci si dovette ricredere sulle qualità del brasiliano, che disputò solo 9 partite e finì per essere soprannominato “Er Moviola” dal popolo giallorosso. Che la velocità non fosse una delle sue doti, s’è capito abbastanza bene. Caso simile toccò anche a Renato Portaluppi.
 Arrivò anch’egli nell’estate del 1988: a differenza di Andrade, partì con il piede giusto segnando in Coppa Italia 3 gol in 5 partite, ma nel corso della stagione perse tutto lo smalto, finendo per essere rispedito in Brasile insieme ad Andrade l’estate successiva. Il caso più ravvicinato nel tempo – e anche il più costoso per le casse giallorosse – è senz’altro rappresentato dall’attaccante Fabio Junior. La punta fu prelevata dal Cruzeiro per ben 30 miliardi e fu annunciata addirittura come il nuovo Ronaldo. Ma la sua esperienza alla Roma sarà da dimenticare, tanto da passare nel giro di pochi mesi dal soprannome di “uragano” a quello di “venticello”. Fabio Juniro non riuscirà infatti a lasciare il segno e alla fine della seconda stagione tornerà mestamente in Brasile. Ora è il turno di Simplicio e Adriano: soprattutto per l’attaccante del Flamengo sono grandi le aspettative. Chiamato l’ “Imperatore”, probabilmente non faticherà ad ambientarsi nella città dei sette Re e procedere a tutta birra. (Anzi no, Adrià: se mai dovessi legge’, all’ultima riga, dopo “e procedere”, mettigli un punto. “ambientarsi nella città dei sette Re e procedere”. Me raccomando).


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