SEMBRA TIMIDO. Messo lì a margine di una penisola – quella balcanica – a cui, fosse un uomo in carne e ossa, mancherebbe carattere. Soggiacere coi gomiti poggiati sulla finestra slava che si affaccia all’Adriatico e specchiarsi nell’immensità delle acque cristalline di un mare preso d’assalto dai turisti. Sembra impaurito. Il Montenegro. Il mare no: quello è protagonista. Blu, a tratti verde e in certi momenti, col sole che s’adagia quieto, l’azzurro intenso diventa rossiccio. Guardando uno di quei tramonti, al rientro dopo gli allenamenti con il suo Sutjeska, Mirko Vucinic deve averlo immortalato, quell’attimo. Un giorno. Poi l’altro. Poi l’altro ancora. Il momento in cui il giallorosso di una giornata che apre varchi alla notte divora il biancazzurro marino visibile nelle ore di luce intensa. Un giorno. Poi l’altro. Poi l’altro ancora. Rimanere proiettato in quel presente adolescente e sognare il futuro dietro l’orizzonte.
IL DESTINO. Chissà se a starci attenti, ai segnali del destino e alle incursioni casuali della sorte, un uomo a caso potrebbe mai capire – per davvero, voglio dire – il percorso che verrà: se alcuni fotogrammi siano preveggenze. Se piccole visioni siano stimoli. Sollecitazioni. Perchè fosse così, con le snickers tra le mani per far respirare il piede e il lento procrastinare del tempo, Mirko Vucinic avrebbe potuto anche intuirlo che qualche anno dopo, un paio di misere scarpe da ginnastica sarebbero diventate Nike Vapor Superfly II. Le sue.
SEMBRA TIMIDO. In quel perbenismo figlio di tante cose viste dagli occhi, udite dalle orecchie. Fosse un ospite, dà la sensazione che avrebbe paura perfino di suonare il citofono per giungere a un appuntamento concordato. Quieto, efficace, concreto e mai superfluo. Sembra timido per quella correttezza che gli si riconosce e che stona – francamente – con l’istintività di parecchi colleghi. Compagni. Gentile nel toccare la palla. Pacifico con gli avversari. Sembra impaurito. Mirko Vucinic.