Rosella Sensi – Roma: l’addio di Spalletti, la scelta di Ranieri, la scommessa di Adriano

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 Luciano Spalletti, Claudio Ranieri, Adriano. Dovessimo azzardare tre nomi attorno ai quali è ruotata l’epopea di Rosella Sensi vestita da proprietaria della Roma (un paio d’anni, dal 2008 al 2010) il trittico verrebbe spontaneo. Perchè la riproposizione del biennio in rosa ai vertici della società capitolina non ha bisogno d’essere spiegato utilizzando centinaia di parole, spremendo migliaia di volte i bottoni della tastiera. Poco meno di ventiquattro mesi (28 agosto 2008, 8 luglio 2010) sono il tempo utile per tentare di portare avanti un progetto, non certo di produrre risultati. Massimo Moratti, in determinati discorsi, sembra entrare come il prezzemolo, e ancora una volta l’esempio è lui: passano i lustri – uno, due, tre, quasi quattro – prima di condurre i nerazzurri al trionfo. Rosella Sensi – tutto quel futuro davanti – non l’ha avuto eppure sulla retta di congiunzione tra le due date – 2008, 2010 – si adagiano un secondo posto in campionato, l’esperienza della Champions League e dell’Europa League, quella in Coppa Italia (in finale contro l’Inter lo scorso 5 maggio). A onor del vero, va dato atto a Rosella Sensi di una evoluzione di risultati che è visibile ed evidente: da un anno all’altro, la Roma ha migliorato i propri numeri su ogni fronte (nel 2008/09, vero, i giallorossi giocarono la Champions: ma la qualificazione risaliva a quando papà Franco era in vita e presenziava ancora lui). L’attimo del trapasso: da Spalletti a Ranieri. Ovvero, due dei momenti cruciali di una breve carriera nei quali il binomio di episodi non può non essere ricordato. Seduto sulla panchina della Magica dal 2005, Spalletti annunciò le proprie dimissioni il primo settembre 2009, con una decisione richiamata ai dissensi che aveva da alcuni mesi con la società (per l’impossibilità di fare mercato e campagna di rafforzamento, soprattutto) e a seguito di due sconfitte nelle prime due partite di campionato.Rosella potè (e volle) fare poco: nell’incapacità di promettere grandi acquisti (sempre che – in realtà – non li abbia promessi) e nella consapevolezza che il legame con il tecnico si era sfilacciato in maniera irreparabile, rescisse cosensualmente il contratto che legava il club al toscano e decretò di fatto la fine di un rapporto (idilliaco) durato la bellezza di 4 anni. E’ il momento cruciale: quello della separazione con chi a Trigoria era ormai di casa e della conseguente scelta. La nuova guida. Voci esterne e dichiarazioni riconducibili allo stesso Presidente raccontano che Rosella fu determinata nell’individuare il successore. Seguì le volontà e il pensiero di Franco. La Roma a un romano. Romanista. Sul bell’esempio di Francesco Totti, Daniele De Rossi. Della stessa famiglia Sensi. Si parlò per un istante del ritorno di Carlo Mazzone, l’obiettivo era un altro: identikit presto fatto. I tratti somatici, le caratteristiche caratteriali portarono lì. In lontananza, ma sempre più nitida con il passare di quelle ore, la figura di Claudio Ranieri. Che, dopo aver girato per 30 anni il mondo a insegnare calcio ovunque, avrebbe volentieri fatto ritorno a casa. A Roma. Alla Roma. Quando si ha la fortuna di riuscire a rendere concreto un intento lineare e lasciare che si materializzi con la disponibilità di una figura umana e professionale di siffatto valore, non ci si pensa. La si spende immediatamente. E fu. Diretta emanazione della volontà presidenziale. Il 2 settembre 2009 il testaccino diventò allenatore della Roma facendo ritorno nella città natale, nella società in cui era cresciuto e dove aveva mosso i primi passi da giocatore. L’immediato svolgimento dei fatti ha dato ragione alla Sensi: Ranieri ricostruisce in meno di uno starnuto una squadra che pareva scoppiata, disunita, logora. Rianimò i polmoni della rosa, portò nuova linfa e quasi quasi (dopo aver umiliato Mourinho e fatto, a parità di gare giocate, più punti dello Special One) ti va a strappare lo scudetto dal petto dell’Inter. Tant’è: la stagione, cominciata in contestazione, finisce in tripudio. Nonostante la bacheca, alla voce vittorie, indichi lo zero spaccato: ancora negli occhi – belli come certi tramonti un po’ gialli, un po’ rossi – i venticinquemila di Verona a festeggiare contro il Chievo un tricolore virtuale. In fondo, Rosella non ha avuto il tempo. Perchè, vista la prima fase di mercato – è storia freschissima – e a prescindere dall’assenza di liquidità, i giallorossi sono il club di A che, se non più, quantomeno meglio di altri si è mosso. Uno-due: Fabio Simplicio e Adriano. A parametro zero e in tempi nei quali la campagna acquisti del resto della penisola ancora tace. “Sognavo di poter annunciare l’arrivo di un grande campione. E il campione è arrivato”. L’Imperatore. A conti fatti una scommessa da vincere prima di tutto sulla bilancia. Nel contesto extracalcistico. Ma i 28 anni di Adriano e il nemmeno troppo lontano ricordo di cosa è capace di fare lasciano pensare che la puntata azzardata da Rosella possa portare parecchi frutti. Beffa del destino che prende a panciate le aspettative: il tempo di vedergli fare faville, la Sensi junior colorata di rosa, non l’ha avuto. Come accade nelle più classiche delle storie figlie dei nostri giorni. Pare ci sia sempre qualcosa che manchi. Solo che, quando a venir meno sono in contemporanea soldi e tempo, scrivere pagine indelebili è pressochè improponibile. Checchè ne dica il cuore. A prescindere dalla buona volontà. E nonostante la buona salute psico-fisica.


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