Roma, Unicredit: Mr. DiBenedetto, I want you

di Redazione 1


Se non vedi, ci sono. Ma se vedi, non ci sono più.

On air.

Thomas DiBenedetto, a Milano, non c’era. Ha perso un’opportunità: quella di assistere a una partita le cui immagini si farà fatica a cancellare. La Roma, contro l’Inter, stava per inanellare una sconfitta sugellata da una caterva di marcature. I gol piovevano a grappoli, come le emozioni. I capovolgimenti di fronte. S’è risparmiato una sconfitta ma gli è venuta meno l’occasione di accrescere ciascuna delle motivazioni già messe nero su bianco e affidate a Unicredit. La variabile impazzita di una formazione capitolina capace di tutto sarebbe diventata valore aggiunto: di un club come quello giallorosso, un imprenditore riesce con cognizione di causa a cogliere (se c’è) il vantaggio economico. Di una squadra capace di fare quanto mostrato a San Siro, un uomo di sport corre il rischio di innamorarsi. E non perchè sia stata Roma impeccabile. Perfezione e palpitazioni non sono mai stati sostantivi in grado di interagire. E’ stata, semmai, Roma da groppo alla gola, nervi tesi, mal di stomaco, illusione irrefrenabile, fiato sospeso. Ed è così che, mister DiBenedetto, avrebbe ceduto di sana pianta. Non è successo, tempo ce n’è.

E non è accaduto perchè, non annunciato, l’americano non si è presentato.

Giustificare un’assenza non preceduta da notizie – preventive – che ne affermano la presenza è consuetudine dei fuori di zucca. A conti fatti alla figura ancora avvolta da tocchi di mistero di mr. DiBenedetto, che non ha dovuto smentire alcunchè per non aver dichiarato nulla, si possono aggiungere altri due dati.

Il primo, lineare come i discorsi con soggetto-predicato-complemento: non ha assistito a Roma-Inter.

Il secondo, consequenziale e positivo: colui che è il maggior accreditato a diventare il prossimo presidente della Roma – avendo le rotelle a posto, dicono i fatti – non è fuori di zucca. Non c’era perché non doveva esserci.

Dettaglio che ai tifosi piacerà.

Elemento che a tutti gli altri potrà dare fastidio.

Assioma che chiunque abbia un doppio fine potrà anche tentare di sbriciolare. Ma gli assiomi si smontano con prove certificate e dati incontrovertibili. Non a chiacchiere.
Se non vedi, ci sono. Ma se vedi, non ci sono più?
Qualcuno ha frainteso: la risposta era IL BUIO. Mica DiBenedetto

Off air.

Il serpente che non può cambiar pelle muore. E, all’ultimo stadio di vita, abbozza un colpo di coda.

On air.

I debiti accumulati dalla famiglia Sensi non hanno mai avuto le fattezze di nuvole di fumo. Tutt’altro che inconsistenti, hanno semmai assunto la fisionomia, sempre più con il passare degli anni, di moneta sonante richiesta e mai restituita. Italpetroli, la Roma: si è arrivati a un momento in cui ogni bene si è trasformato in strumento con cui estinguerlo. Non è per altro che la società è tornata nelle mani del creditore – Unicredit – per poi essere messa in vendita. Con criterio e nel pieno rispetto delle regole: non solo al miglior offerente ma anche a colui (o coloro) i quali presentassero un progetto analitico e convincente, sostenibile e sostenuto. La tempistica, indicata nero su bianco, ha previsto fasi preliminari e avanzate, percorsi conoscitivi e di approfondimento: all’analisi preventiva dello stato di salute del club ha fatto seguito l’individuazione di un soggetto – Rothschild, l’advisor – che si occupasse di raccogliere gli interessi e illustrare nel dettaglio – a richiesta  -lo stato delle cose. Dalla fase di presentazione delle offerte non vincolanti si è passati all’ulteriore e definitiva scrematura delle proposte attraverso una seconda – stavolta vincolante – offerta definitiva. A nessuno dei cinque soggetti arrivati fino in fondo è bastato apporre in calce a un dattiloscritto il prezzo che si era nelle facoltà di spendere. A ciascuno, semmai, è stata chiesta una pianificazione dettagliata della eventuale, imminente gestione. La cinquina di nomi è quella che si conosce da qualche giorno: non c’è Aabar, la cui presenza era stata ventilata e poi smentita attraverso comunicato da parte dello stesso gruppo arabo e di Italpetroli, ma ci sono gli americani. Di cui si parlava da quando, poco meno di un mese fa, Unicredit aveva scomodato i propri dirigenti affinchè si recassero negli States per discutere “face to face” l’intera trattativa. Saggiando, diciamo noi, le reali intenzioni e la serietà dei cinque soci in cordata (di cui DiBenedetto è referente principale). Di quanto gli yankees fossero convinti, lo si è evito poco dopo: al momento della scadenza dei termini di presentazione delle offerte, infatti, Unicredit – in seguito a un necessario conciliabolo con i soggetti interessati (Rothschild e la famiglia Sensi) – appura che i referenti con cui occorre trattare in maniera esclusiva e preferenziale sono proprio loro. Mr DiBenedetto and company. Non per simpatia né per empatia: semplicemente, tra tutte, quella dei made in Usa è stata l’offerta economicamente (e di gran lunga) più vantaggiosa e sostenibile oltre che una delle poche (tra le cinque) davvero vincolanti. Assai più di quella avanzata dall’unico italiano (per giunta romano e romanista) Giampaolo Angelucci, che ha inoltrato l’in bocca al lupo alla cordata; assai più delle altre tre. Tre quarti di Roma, un’intera sponda del Tevere: l’attesa degli americani è cominciata con le bandiere a stelle e strisce che fanno compagnia tra le mura dell’Olimpico e in casa degli altri. Roma vuole l’America, per voltare pagina e ripartire con slancio; Unicredit vuole l’America, per chiudere l’ennesima operazione virtuosa con un successo.  Fatto trenta, si fa trentuno. Quasi sempre. Ovvero: attendere fino a venerdì, giorno in cui la trattativa esclusiva tra l’istituto di credito e gli americani avrà inizio. E ribadire – perché non vi sono elementi per tacerlo o negarlo – che il percorso è perfettamente in linea con la tempistica concordata. La presenza di Unicredit, in tal senso, è garanzia certificata affinchè l’operazione sia limpida e veloce. La Roma, quindi, verso mister President DiBenedetto.
Invece a volte, dopo il trenta, per una serie di circostanze (oscure?) si torna al ventinove.
L’ennesima (stavolta, per non farsi mancare nulla, sono due) notizia che stravolge ogni sviluppo rettilineo, cronologico, orario: la prima, Unicredit nutrirebbe dei dubbi sulla serietà della cordata americana (fonte Dagospia) che avrebbe – anch’essa – presentato un’offerta in realtà non vincolante; la seconda, due società in sinergia avrebbero presentato l’offerta cosiddetta “arabo-statunitense”: la Deson&Co e l’Amyga Investments, che si sarebbero fatte garanti di 100 milioni per rilevare il 67% della proprietà, più un surplus di 40 milioni per l’Opa e altri 100 per calciomercato e valorizzazione del settore giovanile.
Qualcuno, pare di capire, sta giocando. Unicredit, a che pro? Quel DiBenedetto di cui abbiamo poc’anzi illustrato il corretto andamento delle funzioni cerebrali (ricordate: non avendolo annunciato, a San Siro non è andato)? E se non loro, chi? Gli stessi che hanno intessuto ai tempi di Soros? I lacchè? Gli affini? I parenti alla lontana? Le buonanime? Chi?
E chi se lo scorda…
Il serpente che non può cambiar pelle muore. All’ultimo stadio di vita, abbozza un colpo di coda.
Poi muore.

Off air.

Solo a microfono spento la verità dovrebbe tornare a essere un dettaglio che non necessita di alcuna dimostrazione e l’interesse confermarsi soggettivamente propenso verso tale o tal’altra parte.


Commenti (1)

  1. cosa ha vinto il liverpool da quando è in mano alle stesse persone che stanno x comprare la roma?

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