Il pianto di Mexes è l’immagine della sconfitta

 Da Il Corriere dello Sport:

Philippe Mexes piange in panchina. Lui ha avuto un ruolo marginale nella rincorsa che in una notte si è tra­sformata nell’Everest, ma sente la Roma come pochi altri. E’ l’immagine del dolo­re, della rabbia, di una fru­strazione che non si deve raccontare. Bastano due occhi azzurri tristi. Non sembra vero, non sembra­va possibile, è reale. Con­trosorpasso e forse è fini­ta. Non succede ma se suc­cede? A questo punto la sensazione è che non si ponga il problema. La sensazione è che non succederà. Proprio Cassano prova a consolare Tot­ti, incredulo. Totti si divincola, non per ostilità verso l’ex amico ma perché non riesce a controllare le emozioni negative. Non è facile stare calmi. De Rossi rin­grazia timidamente la Curva Sud, la gui­da di una notte da ricordare e poi rimuo­vere. Burdisso, interista nel cartellino ma non nell’anima, si copre il volto con la maglia. Ranieri invece guarda nel vuoto, magari interrogandosi sulle sostituzioni del secondo tempo. Ma l’immagine della Roma violentata è nella partita di John Arne Riise, il glaciale uomo del Nord: due chiusure sbagliate su Pazzini, involontariamente sadico nella sua tipica esultanza ( «Mi avete vi­sto?» ) , due tiri indirizzati in porta e disinnescati da Storari, romano romanista insuperabile, e i suoi scudieri. E’ appun­to Riise il primo giocatore a sbucare dal­la doccia calda eppure freddissima. La testa è china, piena di “se” e di “ma”, le famose parole con cui non si fa la storia.

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