L’avversaria: Juventus post Calciopoli, nè scudetto nè Champions. Obiettivi di stagione: Coppa Italia, Europa League (!)

di Redazione Commenta


L’enigma Juventus imperversa in questo 2010 appena abbozzato. Lontano anni luce dalle favole a lieto fine che ne hanno costruito la storia sportiva – a suon di vittorie e trofei alzati al cielo, cuciti sul petto – il presente del club più glorioso d’Italia è più nero che bianco, quasi a prolungare il purgatorio di una società a cui mancano come il pane successi e traguardi raggiunti. Il dopo Calciopoli della squadra di proprietà della famiglia Agnelli, che ha avuto nel compianto Gianni il massimo esponente dirigenziale, ha offerto ai tifosi della Vecchia Signora una sola gioia – simbolicamente importante ma da cui trarre scarso giovamento – legata all’immediata promozione in serie A (ottenuta sul campo nel 2006/07) dopo la retrocessione in B decretata a tavolino (a seguito di sentenza della Commissione di Appello Federale in merito ai fatti oggetto dello scandalo del calcio italiano del 2006 che declassò la Juventus dal 1º al 20º posto del campionato 2005-06 mandandola in serie B per la prima volta nella storia del club). Lo sport più seguito della Penisola ha un percorso storico che, il più delle volte, va in sintonia e assonanza con quello del maggiore club torinese: una sola immagine – fotoracconto in un click – basterebbe a esprimere tale simbiosi. Quella di un pallone da calcio: a chiazze bianche e nere, ovvero il binomio di colori che contraddistingue il club juventino fin dal lontano 1897, anno in cui la società venne fondata da un gruppo di liceali torinesi col nome di Sport Club Juventus (furono poi i soci dissidenti, nel 1906, a sancire la nascita dell’altro club della Mole, il Torino). Raccontare un secolo e spiccioli di decenni di gloria chiederebbe uno spazio e un tempo illimitato, motivo per cui valgano due dati a riassumere i milioni di sorrisi regalati dai bianconeri alla propria tifoseria (da sempre, la più numerosa in Italia). Il primo: l’Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio, organizzazione riconosciuta dalla FIFA, ha decretato – numeri alla mano – che la Juventus è stato il miglior club italiano e il secondo a livello europeo del XX secolo. Il secondo lo fornisce il palmares, da fare invidia alla quasi totalità delle squadre di calcio esistenti sul pianeta: 27 scudetti, 9 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe, 3 Coppe UEFA, 2 Supercoppe UEFA, 1 Coppe Intertoto, 2 Coppe Intercontinentali.
Il buio recente mal si addice a tanta manna, ma appare inevitabile parlare di una Juventus malata e in preda a più di una difficoltà. Sembrano insormontabili i problemi griffati di bianconero, nonostante una rosa di tutto rispetto con la quale la dirigenza – a inizio stagione 2009/10 – aveva tutta l’intenzione di andare a voltare pagine amare per metterle definitivamente in archivio. Un punto e a capo trasformatosi, con il passare delle giornate, in una pausa di sospensione che fa capolino in una montagna di critiche. A dirigenza e calciatori. All’allenatore, lo stesso Ciro Ferrara che – a detta di molti, i più critici nei confronti del partenopeo – è lì ad attendere che Marcello Lippi chiuda l’esperienza in Azzurro con l’epilogo – da “incrociamo le dita” – in Sudafrica 2010 prima di tornare a sedersi sulla panchina della Juventus, di cui rispecchia una buona parte della storia vincente (il viareggino, con i bianconeri, ha conquistato 5 scudetti, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Coppa Campioni, 1 Supercoppa europea, 1 Coppa Intercontinentale). Problemi, difficoltà: situazione nuova, per la Juventus gloriosa che tutto toccava e tutto trasformava in oro.
CALCIOPOLI. Sempre meglio degli scandali del post 2000, altrochè: calvario, per la società più chiacchierata del calcio italiano, che – incancellabile il fardello degli anni in cui la triade composta da Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega (unico a uscirne pulito) ha macchiato per sempre un passato da incorniciare – oltre a rincorrere dal punto di vista sportivo, si è trovata di recente a dover ricostruire un’immagine scalfita pesantemente. Perché, volenti o nolenti, con Calciopoli il pallone si è trovato di fronte a una presa di coscienza: quella secondo cui il calcio è uno sport poco pulito, fatto di accordi e minacce; di decisioni prese a tavolino e tali da rendere predeterminato il responso del campo; di una nicchia in grado di detenere potere economico e concordare il corso degli eventi (calcistici). Affermare che il dopo Moggi abbia invertito il trend è francamente meno dicibile rispetto alla paura e al sospetto che sia sempre stato così. Che sarà sempre così come accade nei Sistemi di alto livello, dove un tassello vale l’altro purchè non si perda di vista il disegno d’insieme.
Intanto, la bella novità è che qualcuno abbia pagato un prezzo di fronte alla società civile, a quella sportiva, di fronte alla giustizia. Se quel prezzo occorra e basti ad allontanare per sempre l’erba malevola dal Sistema calcio, è poi tutto da verificare.
Intanto, la verità vera è che i tifosi bianconeri si ritrovano con due tricolori in meno (quelli conquistati nel 2004/05 e nel 2005/06) per ottenere i quali avevano garantito – loro sì – il solito, incessante, incondizionato e dispendioso (sotto ogni punto di vista) supporto.
Intanto, la lancetta del tempo che scorre ha consentito di tornare a porre l’accento sul calcio giocato.
Accolta come una liberazione, la promozione dalla cadetteria alla massima serie (2006/07) è stato un bagno con cui simbolicamente ripulirsi ma del quale le attuali bandiere del club avrebbero fatto a meno (il presidente juventino in pectore, Jean Claude Blanc, lo ripetè il 17 gennaio 2009: “Come dice il nostro capitano Alessandro Del Piero, quegli scudetti sono stati vinti sul campo”, riferendosi ai due tricolori revocati alla Juventus). Gianluigi Buffon e compagni si sono ripresi il posto che gli competeva, chiudendo i due campionati scorsi rispettivamente al secondo e terzo posto, con tanto di accesso diretto in Champions League. Nessun obiettivo portato in bacheca, con l’intenzione di completare l’opera nel 2009/10, stagione annunciata a pompa magna come quella della rivincita. Del ritorno alla vittoria. Per ora, un bilancio da meno di “così e così”.
CALCIOMERCATO JUVENTUS. Ripartire da Buffon, Tezeguet e Del Piero, i tre campioni (del quarto, Nedved, si dirà tra un paio di righe) che hanno accettato di rimanere alla Juventus anche in serie B compiendo a un tempo una scelta di vita. La vecchia, intramontabile guardia a cui toccherà, con ogni probabilità, la fine della carriera calcistica in bianconero. Ripartire senza Pavel Nedved, emblema di qualità e quantità che – assieme al capitano del Milan Paolo Maldini – ha deciso, con la fine del campionato del 2008/089, di appendere le scarpe al chiodo. Ripartire con Fabio Cannavaro, capitano della Nazionale che ai tempi della retrocessione (con l’Italia fresca campione del Mondo 2006 in seguito all’impresa tedesca, vittoria che valse a Cannavaro il Pallone d’Oro di quell’anno) preferì trovare gloria nelle fila del Real Madrid (con le Merengues il centrale difensivo ha disputato 3 stagioni per 94 presenze complessive e la conquista di due titoli di Liga spagnola). L’acquisto del partenopeo non è stato accolto nel migliore dei modi dal tifo più caldo, che ne ha contestato il precedente “abbandono” in maniera palese: in barba al volere della piazza, la dirigenza della Juventus (che rimane di proprietà della Famiglia Agnelli ma annovera tra le figure dirigenziali di spicco lo stesso Jean-Claude Blanc in qualità di Presidente; Giampiero Boniperti e Franzo Grande Stevens quali Presidenti onorari; Roberto Bettega, tornato nelle fila amministrative del club dallo scorso 23 dicembre come vice direttore generale; 7 consiglieri di amministrazione; Alessio Secco il Direttore Sportivo) ha riportato l’iridato in maglia bianconera prelevandone il cartellino a parametro zero. Ripartire da Diego, trequartista brasiliano classe 1985 che tanto aveva fatto sognare i tifosi di Porto (1 campionato e 1 Coppa Intercontinentale) e Werder Brema (1 Coppa di Lega e 1 Coppa di Germania): è l’acquisto più importante del calciomercato estivo, l’unico in grado di non far rimpiangere gli addii (destinazione Spagna) di Kakà e Ibrahimovic, il più quotato a garantire lustro al calcio italiano (la cui fama di campionato più bello del mondo ha cominciato a vacillare pericolosamente con le affermazioni, sempre più imponenti, dei club inglesi e spagnoli nel calco internazionale). Quasi 25 milioni di euro nelle casse del club tedesco e un entusiasmo da vendere tra i sostenitori delle Zebre, convinte di avere a disposizione uno dei talenti più pregiati del calcio mondiale. Ripartire da Felipe Melo, individuato quale uomo di fatica e costruzione di gioco, a tal punto certezza  da meritare di essere l’erede di Nedved. Anche in questo caso, 25 milioni sonanti nelle casse della Fiorentina e una scommessa da valutare sul campo, gara dopo gara. Ripartire da Martin Caceres, uruguaiano classe 1987 con un passato recente in blaugrana: il difensore viene ufficializzato il 7 agosto 2009, prestito con diritto di riscatto in favore della Juventus. Ripartire per portare la stella juventina a brillare più in alto di tutte, come la Storia vorrebbe. Capitano poi i disguidi, gli imprevisti, arrivano ostacoli non calcolati a presentare l’amara verità che, qualche volta, neppure la linearità dei fatti è a tal punto affidabile da rendere concreta la teoria. Con buona pace di Ciro Ferrara.
UN NAPOLETANO A TORINO. Proprio lui, il secondo di Lippi sulla panca più amata dagli sportivi italiani (quella della Nazionale) nel corso dell’ultimo Mondiale; lui che alla Juve aveva chiuso la carriera agonistica dopo nove stagioni da protagonista (253 presenze e 15 reti; 5 scudetti, 1 Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane, 1 Coppa Campioni, 1 Supercoppa europea, 1 Coppa Intercontinentale). Il primo – a parimerito con il Napoli – amore di Ciro torna nella sua vita a distanza di quattro anni. Altri ruoli, altre responsabilità. E’ il 18 maggio 2009, infatti, quando a Ferrara viene offerta – con tanto di “sì, sì” con la testa da parte dell’ex calciatore – la panchina dei bianconeri: prende il posto di Claudio Ranieri, esonerato dopo la fine dello scorso campionato, e si ritrova tra le mani una rosa che pare l’unica – sulla carta – a poter competere con i giganti nerazzurri dell’Inter. Lo scudetto pare una cosa a due: il leggero vantaggio della squadra di Mourinho è lo stesso che la riverenza suggerisce di riservare a un club plurivincitore nel corso degli ultimi anni ma la fiducia che ruota attorno alla fidanzata d’Italia è palpabile. I ventimila abbonamenti sottoscritti per i frequentatori dell’Olimpico bianconero ne sono una riprova evidente.
STAGIONE 2009/10. Ed è, neanche a dirlo, partenza a razzo. Più per i punti conquistati che per il gioco, che si vede a sprazzi ma che – in ogni caso – è in crescendo. Turno dopo turno. Stento all’esordio di campionato (in casa contro il Chievo Verona): il caldo su Torino, quello afoso e tipico di una qualunque serata del 23 agosto, si ripercuote soprattutto sui bianconeri, a cui tocca tener duro per difendere la rete del vantaggio messa a segno da Iaquinta dopo 12’ di gioco. Titolari i nuovi tranne Melo e Caceres, benino Cannavaro e bene Diego che esce tra gli applausi. Alla seconda stagionale, è subito verifica importante: Juve a Roma contro i giallorossi ancora allenati da Spalletti (ma Ranieri, si potrebbe pensare ora, insegna che la Juve dà – una panchina – quel che la Juve aveva tolto), per i capitolini è massacro con tanto di resa delle armi. Presi per mano da Diego, autore di una doppietta (la prima in Italia) d’autore, gli uomini di Ferrara mettono k.o. De Rossi (suo il gol del momentaneo pareggio) e compagnia e mostrano di meritare ampiamente la fiducia – in qualità di anti-Inter – riposta sulla squadra da critica e addetti ai lavori. Nella circostanza, prima rete bianconera anche per Melo, che chiude il match nella ripresa. La terza è ancora all’Olimpico di Roma, avversaria una Lazio in crisi di gioco e risultati: gara concreta e cinica, quella dei bianconeri, che piacciono meno di una settimana prima ma a cui non costa particolare fatica assicurarsi la vittoria (in gol Caceres e Trezeguet). Il settembre brillante della Juventus prosegue con il successo della quarta di campionato (in casa contro il Livorno, reti di Iaquinta e Marchisio) ma subisce un parziale arresto nel turno successivo, al Marassi contro il Genoa: Mesto e Crespo riescono a ribaltare l’inziale svantaggio per la rete di Iaquinta dopo 6’ di gioco ma Trezeguet salva capra e cavoli siglando il 2-2 a 4’ dal triplice fischio. Ancora nulla di cui preoccuparsi, almeno fino a sette giorni dopo: la sesta vede il Bologna ospite a Torino, Tezeguet è il solito rapace in grado di giocare un pallone e fare un gol ma Adailton gela il sangue di Buffon al 3’ di recupero con una conclusione da applausi. Se è vero che due mezzi passi falsi non fanno una prova, lo è altrettanto ritenere che Palermo (settima di campionato, 3 ottobre) abbia aperto una crepa. Evidenziando la voragine: 2-0 per i rosanero, Cavani e Simplicio in rete nella prima frazione. Brutta Juve, poco gioco, difesa inguardabile e centrocampo privo di idee. Un punticino portato a casa dalla Fiorentina (ottavo turno) in virtù dell’1-1 maturato in seguito alle reti di Vargas e Amauri, poi la Juve torna alla vittoria. Stentata, sudata, difficile dire quanto fosse meritata. A farne le spese (9a) è il Siena, che si arrende in casa al gol di Amauri (27’ s.t.). E’ una scossa importante, lo si capirà la settimana successiva: la decima giornata mette di fronte ai bianconeri una Sampdoria lanciatissima e in cerca dei primi posti in graduatoria. I blucerchiati sembrano i soli in grado di tenere il passo dell’Inter, che fa campionato a sé, ma incappano in una lezione che è peggio di una sberla: la Juve ne piazza cinque, doppio Amauri-Chiellini-Camoranesi-Trezeguet, Pazzini segna ma neppure ha voglia di esultare. Il peggio alle spalle? Vedi Napoli, si dice proverbialmente colloquiando, vedi Napoli e poie poi ennesimo passo indietro. Di quelli che non aspetti. Altro k.o (11a), stavolta casalingo, per mano dei partenopei e nonostante la Vecchia Signora fosse in vantaggio di due reti. Trezeguet e Giovinco. Una retroguardia inguardabile, un crollo fisico e psicologico inaspettato: in 23’ il Napoli ne piazza tre. Hamsik, Datolo, Hamsik.
Fosse il campionato un giro in altalena, la dodicesima e la tredicesima di andata sarebbero, per i bianconeri, la fase dello slancio: altre cinque reti insaccate – a Bergamo contro l’Atalanta, che si difende come può con le reti di Valdes e Ceravolo – a firma di Camoranesi (2), Melo, Trezeguet e Diego; vittoria interna contro l’Udinese (in rete, Grosso nella ripresa).
Fosse il campionato un giro in altalena, si diceva, il quattordicesimo turno sarebbe la fase calante, con la sconfitta di Cagliari (2-0) per i gol di Nenè e Matri. Gioco ancora inesistente, macchinoso, disarmonico, improduttivo. Poi, certo, ancora lo slancio (15a). Nel big match, il derby che una volta era detto d’Italia per il primato detenuto dalle due squadre (quando nessuna delle due squadre, né l’Inter né la Juve, si erano mai piegate alla serie B) e che ora è ancora detto così, se non altro perché l’Inter da sola contro se stessa non ci può ancora giocare (per regolamento, non certo per mancanza di organico): la partita della vita, i bianconeri si dannano e vincono dopo 90’ tipici da gara di cartello. Tattici, fisici, tesi, poche occasioni da rete. E i lampi di Chiellini, Eto’o e Marchisio. Le ripercussioni dell’impresa contro i nerazzurri saranno – in questi dettagli, l’imprevedibilità che rende il calcio bello se pulito – tutto l’opposto di quanto immaginato: un disastro. Perché tre giorni dopo, in una gara da vincere a tutti costi, la Juventus viene sbattuta fuori dalla Champions League. A pallonate: contro il Bayern Monaco, all’Olimpico di Torino, sarebbe bastato il pari. Arriva una batosta di dimensioni enormi (1-4 per i bavaresi), in una partita ricordata non solo per quanto detto, ma pure per il fatto che la Juve si era portata in vantaggio con Trezeguet e perché un portiere (Butt) ha fatto gol all’altro (Buffon) dagli undici metri (30’ p.t.) lanciando la rimonta ospite. E’ il momento più basso della stagione, Ferrara salva la panchina solo per la vittoria contro l’Inter ma per la dirigenza è un colpo inatteso. Inimmaginabile. Con tanto di introiti persi e conti da rivedere.  Con tutta una serie di interrogativi da mal di testa: calciomercato sbagliato? Sfortuna? Infortuni (Buffon e Sissoko a mezzo servizio, Del Piero nemmeno quello)? Allenatore acerbo? Difesa non all’altezza? Centrocampo inaffidabile? Ricambi scarsi? Nel gioco al massacro inscenato da opinione pubblica, appassionati, tifosi e addetti ai lavori succede che la squadra affonda. Il sedicesimo turno di campionato, se possibile, peggiora ulteriormente la situazione: a Bari, sono i Galletti a giocare da grande squadra e trionfare (3-1). Meggiorini, Barreto e l’ex Almiron. Solito e inutile gollettino di Trezeguet. Altra beffa, appena prima di Natale: è la 17°, a Torino arriva il Catania, per nulla disposto al viaggio a vuoto. Agli etnei bastano le reti di Izco e Martinez, ai bianconeri non serve quella di Salihamidzic. Quindici giorni di pausa per ricarburare (c’è poco da fare festa), poi la riapparizione della Juve concreta e micidiale proprio con l’Epifania: è la 18°, trasferta a Parma. Salihamidzic riprende da dove aveva lasciato, Amoruso pareggia i conti ma un’autorete di Castellini viene in soccorso delle zebre. Spogliatoio e dirigenza si stringono attorno a Ferrara, ma l’ombra di Guus Hiddink comincia a farsi minacciosa al punto che ogni sconfitta potrebbe essere quella della svolta. Il tecnico scampa l’esonero anche dopo la netta affermazione del Milan, capace di un gioco spettacolare con cui espugna l’Olimpico (19a) senza subire reti (di contro, rifilandone 3 con Nesta e doppio Ronaldinho).
Si chiude l’andata con l’amara certezza che i conti sia meglio farli alla fine della stagione.
Si apre il ritorno (sconfitta a Verona contro il Chievo per 1-0) con la paura che quei conti andranno prima o poi fatti: Champions archiviata, campionato seriamente compromesso. Ultimi, fondamentali obiettivi di annata – a questo punto – la Coppa Italia, anche se l’approdo in semifinale significherà battere quell’armata quasi infallibile che è l’Inter, e l’Europa League, competizione nella quale i bianconeri faranno il loro esordio il prossimo 18 febbraio in un doppio confronto (la prima fuori casa) contro l’Ajax.
CLASSIFICA. Conti alla mano, 33 punti. Quinto posto dietro Inter, Milan, Roma e Napoli. Due punti più giù il Palermo, a tre la Fiorentina e il Cagliari. Tricolore andato (abissale il +13 dell’Inter), a uno schioppo la zona Champions e lì a un attimo anche l’Europa League. Dieci vittorie, tre pareggi e sette sconfitte. Trentadue i gol fatti (attacco da posizione medio-alta della classifica), ventisei subiti (la settima peggior difesa del campionato). In equilibrio il bilancio tra partite in casa e in trasferta: all’Olimpico i bianconeri hanno disputato dieci gare vincendone la metà, pareggiandone due e perdendone tre. Fuori casa, altrettante dieci partite complessive, cinque vittorie e un pari a fronte di quattro sconfitte. Subisce (14 a 16) meno reti tra le mura amiche ma non cambia (tra partite casalinghe e in trasferta) la capacità realizzativi (16 gol). Cannoniere temporaneo, David Trezeguet: sette centri, contro i quattro di Amauri.
RINFORZI INVERNALI. Impossibile non intervenire, in una maniera o in un’altra. Per ora, la dirigenza ha ritenuto opportuno salvaguardare il lavoro di Ferrara (ed evitare l’ennesimo stipendio milionario per l’assunzione di un allenatore nuovo) per puntare l’indice sull’apparato amministrativo (il ritorno di Bettega va visto in tal senso) e sull’organico. Intervenire nuovamente sul mercato in fase di riparazione, per una società come la Juventus, vuol dire aver fiutato l’affare irrinunciabile o fare pubblica ammenda per gli errori precedenti. Gli acquisti recentissimi di Michele Paolucci dal Siena e Antonio Candreva dal Livorno (via Udinese) vanno sicuramente interpretati con l’ausilio della seconda (tra le due) chiave di lettura: rimediare a una mancanza. Se poi l’arrivo congiunto dell’attaccante e del centrocampista siano la giusta medicina, lo dirà il campo. In concomitanza, Tiago se n’è andato all’Atletico Madrid.
CANDREVA. Il tifo viene in secondo piano, ripeteva il neo juventino appena dopo la presentazione ufficiale. Eppure, il destino gli ha messo contro, alla prima di campionato con la Juventus, la sua Roma. Che, lo si può capire benissimo, di fronte a una opportunità professionale tanto importante è un po’ meno sua di quanto lo stia per diventare il club torinese. “Approdare in una squadra come la Juve – le prime parole dello juventino Candreva – è il sogno di qualsiasi calciatore, non mi aspettavo che questa opportunità arrivasse così presto. E’ un traguardo bellissimo. Cercherò di dimostrare di essere un giocatore utile. Ho sempre fatto il trequartista o la mezz’ala. Non sono uno che segna tanti gol, preferisco servire assist ai compagni”.
PAOLUCCI. Gioia evidente anche nelle parole dell’altro rinforzo. Michele Paolucci, non ancora 24enne, per lui un ritorno all’ovile: “Spero di segnarne di importanti. Ho dei grandi ricordi qui. L’impatto con la città è stato subito bello e l’ho anche trovata meglio di come l’avevo lasciata. Sarebbe bello lasciare il segno anche perché in tanti anni non ho avuto la fortuna di debuttare”.
ULTIMISSIME JUVENTUS. In primo luogo, l’assenza per squalifica di Felipe Melo. Poi, oltre alla disponibilità immediata dei due nuovi acquisti, anche il ritorno anticipato (per il quale la società bianconera è tutt’altro che mortificata) di Mohamed Sissoko dalla Coppa d’Africa, vista l’eliminazione repentina del suo Mali. Infine, la volontà di rafforzare la visione di squadra a partire da un ritiro volto a cementificare l’unità degli intenti. A fare, come si suol dire, ancor più gruppo. Pare che le serate dei bianconeri, messo in cantiere l’allenamento, siano trascorse al cinema.
Prima Sherlock Holmes, poi Io e Marilyn. Quindi, Avatar.
Poi, la Roma. All’Olimpico, sabato 23 gennaio ore 20.45. Con il forfait annunciato di Camoranesi, Poulsen, Trezeguet, Giovinco, Caceres e Iaquinta. Altro che tempi cupi, per i giallorossi. Le indiscrezioni portano a pensare che Ferrara sia orientato a provare uno schema incentrato sul rombo con Marchisio (febbre permettendo) appena davanti alla difesa e Diego immediatamente dietro alle due punte, Amauri e Del Piero. Laterali, Sissoko a destra e Candreva a sinistra. Dubbio l’esordio dell’ex livornese fin dal primo minuto, in caso contrario tra gli undici titolari ci sarebbe Salihamidzic.
JUVENTUS ANTI ROMA. Juventus-Roma. Stadio Olimpico di Torino, sabato 23 gennaio ore 20.45. La probabile formazione bianconera:
Juventus (4-3-1-2): Buffon; Grygera, Cannavaro, Chiellini, Grosso; Candreva, Marchisio, Sissoko; Diego; Del Piero, Amauri. A disposizione: Manninger, Legrottaglie, Salihamidzic, Zebina, De Ceglie, Paolucci, Immobile. All.: Ferrara.

A. Bavaro


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