I 18 anni di Totti con la Roma

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 Da Il Romanista:

Il destino aveva già deciso. Quando Francesco Totti entrò in campo quel 28 marzo 1993 a Brescia, maglia numero 16 sulle spalle e un’emozione nel cuore che ancora adesso fa persino fatica a raccontarla, ad aspettarlo c’era l’unico calciatore che potrebbe essere quasi più romanista di lui: Paolo Negro. Entrato al posto di Hagi mezzora prima di Francesco perché così aveva deciso Mircea Lucescu, l’ultimo allenatore che – per ora – Totti ha incontrato in Coppa Campioni, l’unico grande trofeo che ancora gli manca. Cos’è questo se non destino? Chissà se chi c’era quel giorno a Brescia, dove dicono facesse molto freddo, si era reso giornali riportano, quasi freddamente, l’esordio del «ragazzino della Primavera che Boskov decide di buttare nella mischia a risultato già acquisito». La Roma vive uno dei periodi più bui della sua storia: il presidente, Giuseppe Ciarrapico, è in carcere in seguito alle indagini del Pool di Mani Pulite. Quel pomeriggio la Roma al Rigamonti passa in vantaggio con Caniggia, raddoppia quattro minuti dopo con Mihajlovic. Francesco è seduto in panchina, accanto a lui c’è Muzzi, che a volte Boskov preferisce a Rizzitelli o a Carnevale. La partita è ormai finita. Quando mancano due minuti l’allenatore scatta in piedi e urla verso i giocatori seduti in panchina: «Forza, scaldati che entri». Ci sono Zinetti, Dario Rossi, poi Muzzi e Totti, che sono gli ultimi due in fondo. Francesco lo guarda perplesso: esce Rizzitelli ed entra lui. «C’era Boskov – ha ricordato poi Rizzitelli- che insisteva, era fissato. Continuava a ripetermi “Faccio entrare il ragazzino, faccio entrare il ragazzino”. Io mi sono girato e gli ho risposto. “E fallo entrare ’sto ragazzino, tanto ormai la partita l’abbiamo vinta». Non immaginava di certo, di essere stato protagonista di un momento storico: l’esordio in serie A del più forte giocatore della storia. Italiana e della Roma. Ha sedici anni e mezzo esatti Totti, conserva ancora quella maglietta numero 16. La società ha imposto alla squadra il silenzio stampa viste le vicende societarie, ma Totti ottiene il permesso di incontrare i giornalisti per raccontare il suo esordio. Non lo fa. Gioca ancora con gli Allievi, il suo obiettivo è conquistare lo scudetto con Spinosi (e succederà, pochi mesi dopo) ma si sente già un uomo squadra. Anche lì, è tutto già scritto. E difficile da spiegare, specie se di fronte ci sono decine di giornalisti pronti a carpire anche il minimo sussulto. Due anni dopo, Francesco racconterà così quel momento: «Io stavo giocando il sabato con la Primavera, Roma- Ascoli, ho fatto due gol nel primo tempo poi Spinosi mi ha fatto uscire e sono andato con la prima squadra a Brescia. Il giorno dopo quando Boskov mi ha detto:”Via scaldati che entri subito” ero seduto in panchina vicino a Muzzi. Pensavo che ce l’avesse con lui. Sono entrato, ho fatto un riscaldamento di dieci secondi, anche perché la partita era quasi finita, ero troppo emozionato e troppo contento». “Eh già… Io sono ancora qua, il freddo quando arriva poi va via“, canta Vasco. E il freddo di quel giorno, nonostante fosse già Primavera da una settimana, se n’è andato. Lasciando spazio al sole del 17 giugno, alle stelle delle notti di Coppa Italia e Supercoppa e della notte di Berlino, festeggiata prima con una maglia azzurra e poi con un cappello giallorosso. Per la prima volta davanti a Cristian. Con Ilary commossa in tribuna. Gli amori della vita. E pensare che quel giorno là Francesco raccontava del suo amore per tale Marzia, coetanea giocatrice di pallavolo, e della sua voglia di sposarla «quando saremmo diventati un po’ più grandi. Adesso voglio diventare un campione, ma non so se ci riuscirò. L’importante è che prima diventi un uomo, altrimenti nella vita non combinerò mai niente». Non sono stati solo diciotto anni di sole e sorrisi. Le amarezze e la malinconia a volte hanno preso il sopravvento. Però, quei momenti, Vasco li canterebbe così: “Col cuoreche batte più forte la notte ha da passa’. Al diavolo non si vende io sono ancora qua“. L’anima di Totti c’è. Come c’è sempre stata. E pure i suoi piedi e il suo talento, anche se il Milan è stata la squadra che in quell’anno là (e in quelli a venire) più di tutti lo avrebbe voluto. Ma lui era stato chiaro fin dal principio: «Io voglio rimanere per sempre nella Roma, ma non so quale sarà il mio destino, cosa deciderà per me». E cosa mai poteva decidere il destino se il giorno del suo esordio aveva di fronte Paolo Negro? In quel momento si è compiuto tutto. L’inizio e la fine. L’alfa e l’omega. Totti e la Roma.


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