Lazio-Roma, Mazzone: “A Ranieri dicevo che non poteva capire senza quei brividi…”

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 Da Il Romanista:

Mazzone e il derby sono un qualcosa di inscindibile nella memoria collettiva dei romanisti. La sua corsa sotto la Sud dopo il 3-0…
«Aspetta, mo’ ti fermo, prima di andare con i ricordi ti voglio dire una cosa su questa partita di domani – ci stoppa subito il mister – stavolta la Roma non deve scendere in campo per giocare il derby, ma per giocarsi lo scudetto. Questa partita non è importante per la supremazia cittadina, ma per quella in campionato. Se arriverà alla gara con questa mentalità ne trarrà un grande vantaggio, altrimenti rischierà di essere coinvolta dalle emozioni del derby finendo con l’esserne troppo condizionata. Se vince contro la Lazio si mette alle spalle un’altra partita e accorcia il distacco dal traguardo. Dunque deve fare come contro l’Inter, rigiocare proprio come quella volta. Ranieri deve far rivedere il dvd di quella partita ai suoi ragazzi e dirgli di ripeterla. Ma lui è bravo e sono sicuro che già l’ha fatto».
Mazzone è un fiume in piena, si sente che ci tiene tantissimo a questo primato della Roma e del “suo” Ranieri:
«Claudio è stato un mio giocatore ed è un uomo vero e un bravo allenatore. Non è uno di quelli che si pavoneggiano quando vincono, è sempre rispettoso con tutti e ha un curriculum da far paura. Uno con la sua carriera alle spalle sa come si fa ad allenare una grande squadra come la Roma e non ho mai capito perché, quando in passato il suo nome era accostato a quello della società giallorossa, c’era sempre qualcuno che storceva il naso. Quest’anno ha dimostrato a tutti di essere l’uomo giusto al posto giusto. Ha preso una squadra quasi allo sbando e con calma e tanto lavoro l’ha rilanciata. Guardate che venendo a Roma lui ha rischiato tantissimo, ma ha vinto una delle sue sfide più difficili».
E pensare che lei glielo aveva  sempre detto di tornare a casa.


«Già. Gli ripetevo che lui, romano e romanista come me, poteva aver guidato tutte le squadre del mondo, ma  che fino a quando non si fosse seduto sulla panchina della Roma non si sarebbe potuto chiamare allenatore. Gli d cevo che non poteva capire i brividi che si provano da allenatore della Roma quando si salgono quei gradini dell’Olimpico con le note dell’inno di Venditti in sottofondo e i tifosi che lo cantano. Per un romano e romanista come me e come lui è qualcosa di davvero speciale. Beh, dopo tre o quattro giornate che allenava la Roma mi telefona e mi fa “Mister,  avevi proprio ragione”. Ha capito  subito cosa significava stare su quella panchina per gente come noi e ora si sta godendo il ritorno nella sua città».
Questione di appartenenza?
«Sì, certo. Per noi che siamo nati nella Capitale la romanità è qualcosa di profondo e troppo importante. A noi romani guai a toccarci la mamma, che viene sempre al di sopra di tutto e Roma. La nostra città, la nostra culla, la nostra storia. Un senso di attaccamento alle proprie radici come il nostro non c’è da nessun altra parte. Lo so io, lo sa Ranieri, lo sa Totti, lo  sapeva Franco Sensi. Un presidente unico al quale sarò sempre grato per avermi chiamato alla Roma e per non av mi esonerato in quel primo campionato in cui non vinsi addiritturaper 14 partite di fila. Un altro al posto suo avrebbe scaricato tutta la colpa sull’allenatore. Lui invece mi diceva “Carle’ non ti preoccupare, non è colpa tua” e poi mi incitava a darci dentro, veniva negli spogliatoi ad abbracciarci dopo le vittorie e a consolarci dopo le sconfitte. Insomma era sempre molto presente e se alla fine arrivammo settimi ad un punto dalla qualificazione in Uefa lo dovemmo anche a quel suo modo di fare. Che uomo, il presidente, e che tifoso. Aveva un amore straordinario per la sua Roma. Oggi, se fosse vivo, scoppierebbe di felicità nel vedere che  impresa sta compiendo la sua squadra ».
A questo punto vogliamo riparlare di quella corsa sotto la Sud dopo il 3-0?
«Ma no, tanto si è scritto e detto tutto. Ci tengo a ribadire, però, che non si trattò di uno sfottò nei confronti dei laziali, ma dello sfogo di un uomo che per tutta la settimana era stato dipinto come un mister non all’altezza della situazione e dell’orgoglio di un allenatore che aveva visto giocare alla grande i suoi ragazzi, ai quali alla vigilia ne avevano dette troppe di cose brutte. E sì, in quella gara la giocammo proprio bene. L’ho rivista qualche giorno fa e me ne sono reso un’altra volta conto. Vincere il derby, poi, è bellissimo però, lo ripeto, stavolta togliamoci dalla testa il pensiero e le ansie della stracittadina e concentriamoci sul fatto che si tratta di una partita da scudetto. Stavolta la Roma si gioca il primato in campionato e non può fallire. Me lo auguro e lo auguro di tutto cuore a Claudio, alla società e a tutti i romanisti come me. Ciao ragazzi e in bocca al lupo».


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