L’8 di Cerezo, i 5 mila al Flaminio: Roma ci sta. Ora tocca ad Adriano

di Redazione Commenta


 Cinquemila anime tinte di giallorosso affollano il Flaminio. Le 17 di un mercoledì che rimane negli annali del club capitolino perché – parole di Rosella Sensi – “è una grande emozione. Finalmente posso presentare un grandissimo campione come Adriano”. Gli fa eco Daniele Pradè, appena dopo la sgambettata dell’Imperatore sull’erba del tempio del rugby: “Adriano in forma è uno dei migliori al mondo”. Già. E visto che – allo stato attuale – l’ex Flamengo sta palesemente sotto il limite consentito del “fuori forma” (la bilancia, dice 104 chili), eccolo il primo – concreto – biglietto da visita.
Roma è speciale, Leite Ribeiro.
Ed è a tal punto splendida – al di là della Storia, dell’architettura, del paesaggio naturale – da riuscire – uomo e donna, presi singolarmente – a offrire un ventaglio di caratteristiche umane ancor più preziose di quanto lo siano i tesori senza le braccia. Senza le gambe.
La Capitale accoglie Adriano da Imperatore. Non era scontato, non sarebbe successo dappertutto: al di là di frasi da circostanza che vanno contestualizzate prima, svincolate dal contesto poi. Non è una certezza, l’attaccante: basta guardarlo ora e fare il confronto con le fotografie di qualche anno fa. Pare che quello di adesso – il ventottenne – si sia mangiato quello di allora – il ventiquattrenne. Ciccio Graziani l’ha detto con schiettezza diversa, ma la solfa cambia poco. Sembra uno che gioca con lo zaino”. Qualche amico, nel corso della presentazione, m’ha detto che era scontato prendesse l’8.
 Un numero che non s’allarga perché è già tondo di suo.
Ci crede meno di me, in Adriano. Gli ho solo ricordato che avere l’8 dietro alle spalle è tra i migliori auspici. Lo portava Tonino Cerezo, la Curva Sud lo tiene in palmo di mano. Un anno venne a Roma a festeggiare gli 80 anni del club e disse: “Se Dio ha un cuore, quel cuore è giallorosso”. Quello – l’amico – s’è ammutolito.
E’ una scommessa, vero. Suggestiva e affascinante, coinvolgente e romantica. Ma pur sempre una scommessa. Altrettanto reale.
Il che – tradotto – significa che la si può perdere.
La Capitale lo sa. Benissimo. Eppure Roma era al Flaminio, incollata alla tv, sintonizzata sulle radio locali, connessa a internet: nonostante la verità sacrosanta sia che un club come quello giallorosso meriti ben altro. Che affidarsi a un azzardo.
Chi ha potuto, al Flaminio c’è andato. Qualcuno ha fatto l’impossibile: mezza giornata di malattia, un permesso per uscire prima dal dopo scuola. A conti fatti, un tripudio. L’Imperatore se ne è accorto in fretta. L’ha detto: “Altre squadre mi hanno cercato. Tante squadre, non solo italiane. Io ho scelto la Roma perchè mi identifico con la città che è simile a Rio. Molto calda e me lo hanno dimostrato da come mi hanno accolto al mio arrivo”.
Visto, cos’è Roma? Nel parallelo con Rio de Janeiro – tuttavia – la differenza è sostanziale: la città brasiliana è casa di Adriano. Roma no. Nonostante ciò, la Capitale ha saputo allargare le braccia e coccolarsi l’Imperatore fin da subito.
 E un conto – Adriano – è essere a casa. Un conto è sentirsi come se si fosse a casa.
Nell’un caso, tutto appare naturalmente scontato, consequenziale. Nell’altro caso, non lo è per niente. Più difficile – Imperatore – sentirsi a casa senza starci. Il dono della Capitale è servito su un piatto d’argento. Nonostante la fragilità di un biglietto da visita francamente modesto. 45 gol in 96 partite di Flamengo e il ricordo di quel che fu: ancora troppo poco. Perché il campionato in Brasile si gioca a ritmi notevolmente più bassi; perché chi vive sperando, disse qualcuno…
Lo vedi. Roma è speciale. Si spalanca senza difficoltà, mica come certi geloni che stanno a nord del Lazio. Però poi.
Poi Roma diventa esigente. Je devi dà. Come Francesco Totti, come Claudio Ranieri, come John Arne Riise. Non chiede la luna, mai successo. Ma domanda il massimo, la totalità che consentono i mezzi che si hanno a disposizione. E se non lo ritorni – simile affetto, tanto impegno, tale costanza – Roma toglie. Nello stesso frammento di secondo in cui t’aveva fatto regalo.
E le potenzialità di Adriano – le tue, Imperatore – non sono quelle di un attaccante da dieci gol a stagione. Né quelle di un ragazzino – acerbo, frastornato – di vent’anni. “Non mi preoccupano le voci su di me, sennò non tornavo in Italia. Io sono qui e  non mi nascondo, voglio dimostrarvi che sono cresciuto e maturato”.
 Ed è talmente splendida – l’anima di questa città; altro che i monumenti, le memorie – che tanto le basta. Per regalare ovazioni e fiducia, per correre dietro a un Suv che si allontana infilandosi nel tramonto di una sera incorniciata di già. E giunto al bivio che sta di fronte a quel Suv, tocca scegliere bene già da stasera: ripagare, ignorare.
Nel secondo caso, il Suv si diriga dove gli pare. Che la strada è breve, ci si scorderà presto, sarà solo un altro errore.
Ma se decidessi di ricambiare – Adriano detto l’Imperatore – quel Suv spediscilo verso casa. E prova solo a rivivere quanto accaduto poche ore fa.
Cinquemila anime tinte di giallorosso affollano il Flaminio, compare sull’erba il nuovo numero otto della Roma. Lo speaker annuncia in pompa magna: “Leite Ribeiro”. E dietro un boato: “Adrianoooo”. Quello: “Leite Ribeiro”. E loro, un boato: “Adrianoooo”.
Basterebbe tanto così, per cominciare ed entrare nel cuore di un ragazzino che stamattina implorava i genitori. Per uscire da scuola un’ora prima. Zaino in spalla, sciarpa al collo, un milione di aspettative. La voglia matta di non dimenticarti mai.
Convinto lui e rincuorati i genitori per quanto gli è costata quella firma sul libretto, avrai convinto tutta Roma.
Non è casa, ma diventa casa in fretta. “Ave Imperatore, Roma ti saluta”.
Perché la Capitale è speciale. Come la voglia di crescerti a fianco di quel ragazzino.


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