Che vuoi che sia uno scudetto se tu, per me, sei unica al mondo

di Redazione Commenta


 Si consuma la notte romana. Di un lunedì dei princìpi di maggio. Tra altalene di commenti e impressioni che ti viene quasi da metterle in un libro di aforismi, su Lazio-Inter ciascuno ha avuto modo di dire la propria. A questo punto, è roba da averne fin sopra i capelli. A un certo momento non ho retto: Lotito, Ledesma, i politici, la Figc, tizio sull’emittente locale, caio ai microfoni di una radio che ha stravolto il palinsesto apposta per commentare la partita dell’Olimpico. Talmente disgustato da aver bisogno di un gesto eclatante, simbolico. Ho fatto la differenziata, raccolto e chiuso i sacchetti, sono sceso e ho gettato via i rifiuti. Dove avessi collocato idealmente certi tifosi – nella carta?, nella plastica? – francamente non lo ricordo più. Se questo o quel dirigente, quello o quell’altro giocatore fossero nelll’umido o nel secco: vattelapesca. Non so dove, ma so che sono lì. Aiuta parecchio – e una volta di più – lo smistamento della spazzatura. Ripulito casa, ho archiviato Lazio-Inter.  Ho pensato – l’ho detto – che una volta di più mi sento diverso, differente. A parti invertite, non avrei mai gioito in quella maniera, non avrei mai esultato a un gol subito, non avrei apprezzato che un solo calciatore con addosso i colori giallorossi si mostrasse tanto malleabile al mondo intero. Vale ora, vale sempre. Credo sia questione di stile, di modo di percepire la vita. Penso sia frutto di uno spirito che mette ordine alle priorità in maniera sancita. Il modo di vivere, di sentire, di rapportarmi alle cose e agli affetti: niente viene prima. Niente e nessuno. Saper amare per sempre e in maniera esclusiva. Percepire il resto – tutto il resto – come “altro”. Tra il vario e l’avariato – penso io – ci passa a volte una differenza sottile. Impercettibile. Per cui, alla fine, ciascuno faccia come vuole. Si comporti come crede. Che, in fin dei conti, in casi come questi, si verifica la speciale condizione di fare scoperte irrinunciabili.  Loro sole – le scoperte – sanno anche riempirti di vitalità in un istante solo. Ma quanto conti – tu per me – Roma mia? E’ nel nome della Capitale, di ogni centimetro quadro compreso tra via dei Banchi Vecchi e via Margutta, nel rispetto incondizionato delle tradizioni e della storia, nella voglia di non dimenticarmi mai la generosità di Agostino Di Bartolomei e la classe di Paulo Roberto Falcao, la volta che Totti segnò alla Lazio e sotto la maglia c’era scritto “6 unica” e le lacrime più recenti di Philippe Mexes dopo la sconfitta contro la Sampdoria. Nei ricordi del Flaminio e in tutte le pagine di libri che mi hanno raccontato del passato meno recente della A.S. Roma. Lì c’è una via che ho voglia di non smarrire mai. Parla della dignità che mi ha trasmesso lo sport, che mi accompagna da che ho incarnato nella Lupa il mio modo di essere. Di fare. Parla della speciale sensazione di portarti sempre con me. Se vado altrove – lontano dalla mia Roma – è come se mi venissi dietro.
 Se resto, è come se fossi l’ombra che mi segue. Chissenefrega di uno scudetto, se poi mi scopro – a un certo punto – felice di saperti così. Unica. Per me unica. Sempre. Che se mai un giorno – tanto è ciclica, prima o poi arriva – la storia si riscrivesse al contrario, io non ho dubbi. E, se mai ne avessi avuto qualcuno – ora non li ho per niente. Capitasse di essere ago della bilancia di un successo laziale, ignora. Fregatene. E se c’è da vincere, vinci. Lotta. Vorrei che in un’occasione come quella, i calciatori della Roma fossero i migliori in campo. Gli ultimi a mollare, i primi a correre. Dannarsi, darsi da fare. Perchè determinare la sconfitta di un altro – si chiami Lazio, si chiami Vado Ligure – m’importa solo se a giocarci contro sei tu. Chissenefrega di uno scudetto se tu, per me, sei unica al mondo. E lo saprai sempre. A ogni occasione. In ogni frangente. E adesso che te l’ho detto, dai. Che abbiamo da fare. Mercoledì, in Coppa Italia, c’è una partita da vincere. Mi trovi lì, al solito posto di un Olimpico tutto per noi. E se sentirai fischi, cori contro, applausi per una rete subita, vanne certa. Non sono – ne mai sarò – io.


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