Roma-Cagliari, ore 13.40. La descrizione di un attimo

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 Nel quale.

Lontano dagli occhi, vicino al cuore.
Sempre. Mai sola, Roma mia, neppure se mi dicessero di scegliere. Te o me. Che io, senza te, è come avere un paio d’ali e non poterle sbattere. L’ultima in casa, per quest’anno. Ma, stanne certa, a Verona sarà come giocare a Roma. E se c’arrampicassimo al balcone di Giulietta, da lì, vedremmo il Colosseo a un tiro di schioppetta.

A volte, quello che si ha nel cuore è più chiaro di ciò che si dice con la lingua.
Come ora. M’hai fatto esse grato, fiero. Perchè t’ho vista orgogliosa e determinata. T’ho vista più bella de come, certe volte, t’ho sognata. E allora, che voi dì. Solo, sentilo! ‘Sto core che fa baldoria. Grancassa-tamburo-rullante.

L’abitudine alla vita non è una vera ragione per vivere. E allora tu, che de fàmmece abituà nun jà fai proprio mai, me stupisci a ogni rintocco de lancetta. Come le magie, come le favole.

 Non è inutile avere qualche illusione. Penso al tricolore, mo’ lo posso dì. Perchè pe’ tutto l’anno mi so’ tenuto. Non succede, ma se succede. Abbiamo cominciato a ripeterlo con l’avvento dell’anno nuovo. Sarebbe servito a fare grande una stagione indimenticabile. Ma ora dico che: quest’anno non me lo scordo lo stesso. Piano piano, zitto zitto: me sa che c’ho voglia uguale de fa’ festa.

Può far bene dire o ascoltare anche ciò che non serve. Che tanto, Ranieri ce l’abbiamo noi e il testaccino – de lezioni di civiltà – potrebbe fa’ anche il docente a La Sapienza. Messa così, m’è servito pure stare a sentire quello che avevano da raccontare i vari Mourinho, i vari Raiola. Ho ascoltato, c’ho pensato e ho sentenziato. La vita dei mercenari non m’è mai piaciuta.

 Sono spesso gli amori segreti, quelli che si dividono con una città. Capità, io penso de avette detto tutto, ma l’ultima cosa te la vorrei sussurrà. Sappi aveccene cura de tutto ‘st’amore. Che immenso così, se trova poco o mai.

Ciò che si può capire, si può anche perdonare. Allora, una volta di più, viene spontaneo dirlo. Non ti farò mai il tifo contro, Roma mia, che quella è roba che non se pò capì. Che nun se pò perdona’.

Viene posta la domanda sulla gioia di vivere in una società senza grande morale. E’ passata Calciopoli, so’ passati i 40 ladroni. Ma è come se non passassero mai. Stipato in curva Sud, certe volte, me sembra de sentì che ritorno a vive pe come vorrei vive io. Che segna la Roma, trovi uno vicino e te lo piji. L’abbracci. Te sembra de conoscello da ‘na decina d’anni.

E’ proprio la vita, fino all’ultimo respiro. Allora, Simò, alcuni silenzi so’ importanti quanto certe frasi. Allora, Marco, non passa attimo che non ci si leghi di più.

Un istante. Pieno come la voglia di vivere. E di giocare. Perchè, in fondo, di questo si tratta: dirsi l’un l’altro che sempre ci siamo. E sempre ci saremo. Che: quale paura? quale timore? Quale maledetta sciagura economica? Quale finzione? Quale vittimismo? Quale cura?
La via, una volta di più, è segnata: Roma mia, vivila. Con la leggerezza di una partita di calcio, con l’amore immenso di tutta una vita.


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