Roma-Atalanta, ore 14.10: la descrizione di un attimo

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 Le convinzioni che cambiano. Il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome. La voglia matta di far dichiarare sold out i biglietti disponibili per la gara dell’Olimpico. Un’ora con le palpitazioni che crescono in maniera proporzionale al passare dei secondi. Tic tac. Il cuore batte all’unisono con quello di Francesco Totti e Daniele De Rossi, il coraggio cresce in maniera similare all’appetito di Claudio Ranieri. Volo con l’immaginazione a immaginare gli amici con cui ho diviso le emozioni di un campionato matto. Bello. Pazzo come certi personaggi che seguono un filo conduttore proprio: non comprenderli non significa affatto che non vi sia significato in ciò che succede. Che viene detto. Così: Simone me l’immagino che per una volta, mentre scrive, le mani gli sudino fredde. Marco penso che possa rischiare il ricovero, da qui alla fine della gara. Il muscolo pulsante ritma una musichetta che riporta alla memoria quella del cuore del Capitano. Poi, a un certo punto, accadrà solo che le mie pulsioni dipenderanno evidentemente dalle gesta del numero 10. E di tutti gli altri giallorossi. Viverlo in maniera esclusiva, un istante simile, e avere paura di viverlo. Soffrire e stare bene per quella speciale condizione che a vote ti regala la sofferenza quando diventa inevitabile per trasformare il sogno in realtà. Gesti istintivi, irrazionali. Agitazione, nervosismo, passione viscerale. Mi alzo e mi risiedo. Poi mi rialzo perchè non ce la faccio a stare fermo. Sentirli qui a un passo, tutti i tifosi della Roma in crisi di panico. Come me. Sono un’enormità. All’Olimpico, a Roma, in Italia, all’estero.

Le convinzioni che cambiano. Una ricerca spasmodica di un istante di tranquillità che non riesco a trovare. Manca un’ora. Lunga, lunghissima e altrettanto intensa. Fortissima. Agrodolce, pianoforte, giallorosso. Tu tum. Tu tum. All’unisono. Me sto a spaventa’. Vampate e brividi. Un fotogramma e vedo il Circo Massimo. Un altro fotogramma e li vedo fuori dal tunnel. Il fotogramma successivo è il più bello: ma quello che ci ho visto ancora non lo voglio dire. Non posso. Mi scopro scaramantico, senza esserlo stato mai. Immobilismo e cabala, fame chimica. La descrizione di un attimo. Lungo sessanta minuti. Oddio, mo’ moro. Che m’invento? Passeggio, ma non basta. Me metto a sogna’. Non basta ancora. Quant’è passato? Dieci secondi. Oddio, mo’ moro. Lassateme perde. Quant’è passato? Quattro secondi. Oddio, mo’ moro…


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