Manfridi: “Essere della Roma significa ritrovarsi”

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 Da Vitadolce.it:

Ti saresti aspettato questo successo di pubblico e i favori della critica, tra cui la recensione positiva di Cordelli del Corriere della Sera?

“Sinceramente no ed è stata una grande gioia. Scrivere e poi trasformare la parola in un atto scenico è stato emozionante ed è stato bello farlo attraverso la faziosità del tifoso romanista. La faziosità subentra in qualsiasi argomento. Anche alcuni episodi storici, se ci pensate, sono raccontati da un punto di vista fazioso. Questa è stata la chiave che ha consentito al pubblico di apprezzare lo spettacolo e di immedesimarsi completamente nel racconto, pur conoscendo l’epilogo della storia”.
Quanto è stato complicato scrivere di calcio a teatro?


“Non è difficile, affatto. Lo sport è un linguaggio straordinariamente metaforico. C’è un’etica naturale. La partita di calcio è incline ad una metafora. In gergo si usano termini di sfida, quasi di battaglia: “La squadra attacca”, è uno di questi. Non è una guerra, la guerra è sangue vero, però questo tipo di linguaggio può farsi metafora di ciò che avviene”.
La scelta delle partite è stata dettata da esperienze personali?
“Senza dubbio. Purtroppo la storia della Roma non consente una grande scelta. Pisa-Roma, ad esempio, racconta anche Roma-Juventus della settimana prima, dove la Roma di Liedholm fu sconfitta negli ultimi minuti. Da un risultato di vantaggio si passò repentinamente al 2-1 per i bianconeri. Il più sette in classifica diventò più tre. Ma noi romanisti non guardammo il bicchiere mezzo pieno, prendendo per buono comunque quel margine di vantaggio. No. Sentimmo il peso di quel meno quattro, che ci avrebbe condannato. Per noi lo scudetto era perso. Bisognava andare a Pisa e vincere. E basta. Tant’è, che in Toscana andarono ventimila tifosi”.
E l’appuntamento del 18 ottobre cosa sarà?
“Roma-Juventus 2-1 del ’73. La partita che consegnò lo scudetto alla Lazio grazie ad una vittoria dei giallorossi. Una gara di cui si è parlato anche dopo l’ultimo Lazio-Inter, dove abbiamo visto la curva biancoceleste esultare ad un gol avversario. Io, invece, vidi tantissimi tifosi braccia al cielo al gol di Spadoni, quello del nostro successo. Vidi pure persone contente per il pareggio bianconero di Cuccureddu, non lo nego. Ma poi, al gol vittoria di Spadoni, un raccattapalle a bordocampo urlò per la vittoria della Roma”.
Il calcio, insomma, non è per superficiali.
“Assolutamente no. Italia-Germania, la finale dell’82, fu un cartello per quella generazione e segnò un’epoca. Non erano solo ventidue calciatori a confronto, ma anche l’Italia Craxiana contro la Germania di Smith. Il fatto che si sia in così tanti in campo si dà più la sensazione di un popolo in azione”.
Il tuo momento memorabile da tifoso giallorosso?
“L’emozione più lacerante la provai in Roma-Atalanta del ‘79, quando pareggiammo 2-2 con un gol di Pruzzo che ci salvò dalla B”.
Per te, appassionato di un calcio fatto di altri valori, cosa significherebbe accogliere un magnate straniero alla guida della Roma?
“Nulla di strano. Sarei favorevole, non vedrei problemi. La passione resta a noi romanisti, che siamo speciali”.
Perché, cosa significa essere romanista?
“Significa una scelta che non viene scelta. I laziali vogliono essere litari, rivendicare il loro essere contro. Io sono diventato della Roma da solo, quasi con naturalezza. Mio padre era un tifoso tiepido, successivamente, e grazie a me, si appassionò a questi due colori. Ricordo che da bambino andavo a scuola con una borsa con la scritta Roma. Ma non della squadra, della città. Un giorno un signore per strada mi chiese: “Per che squadra tifi?”. Io non risposi, ma indicai il nome sulla mia borsa. E lui: “Bravo, anche io”. Essere romanisti significa anche questo, ritrovarsi. Come tutti quelli che si sono ritrovati a teatro con noi”.
FONTANTONESTATE (FONTANONE DEL GIANICOLO, VIA GARIBALDI), 23-24/8, 6-7/9, ORE 21, BIGLIETTI: 15 EURO (RIDOTTI 10 EURO)


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