Italia, Lippi autolesionista: distrugge in campo quel che costruisce nello spogliatoio. Ma sui talenti non ha torto

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 Zelanda Nuova, Italia vecchia. Il secondo pareggio – su 2 – della nazionale italiana in questo Mondiale del Sud Africa che non sta affatto entusiasmando è un fardello che si digerisce a fatica. Al di là dei parallelismi – somigliamo all’Italia dell’82, a quella dell’86, a quella del 2002 – è complicato fare analisi dopo la coppia di gare che hanno fornito gli Azzurri. Viene da dire cento cose, altrettante opinioni potrebbero smontare una a una le opinioni a caldo. Che non sono convinzioni perché – almeno in una affermazione – non viene da dare torto a Marcello Lippi. “A casa non sono rimasti fenomeni”. Condivisibile: perché a eccezione di Francesco Totti – che pure, con la Nazionale, ha avuto rapporti scostanti dovuti a precarie condizioni fisiche – si fa fatica a trovare qualcuno che – da solo – avrebbe fatto la differenza. Balotelli? Nell’Inter non l’ha mai fatta, se non in negativo per atteggiamenti che infastidiscono anche quelli che interisti non lo sono mai stati. Cassano? A Roma l’ha fatta? La Sampdoria senza il barese (fuori per scelta tecnica) ha messo a segno una delle strisce positive più lunghe che le sia capitato di assemblare nella passata stagione. Miccoli? Rotto: Lippi non l’avrebbe portato ugualmente, è vero, ma il palermitano vale l’ultimo Di Natale (o Giuseppe Rossi). Capocannoniere con l’Udinese: poi, certo, un conto è fare il 10 nei bianconeri, un conto è fare il 10 dell’Italia. Una bella differenza: sostanziale, altrochè dettagli. Roba che – a volte – ne hai in abbondanza (Baggio e Giannini; Del Piero, Totti e Mancini) e altre volte pare che il Paraguay ne vanti molti di più.
 E’ cambiato il calcio. Quello italiano: fisico, tattico, poco fantasioso: Totti, Del Piero hanno numeri d’alta scuola ma sono a tutti gli effetti finalizzatori. Non più (o sempre meno) assist men. I trequartisti dove sono? Chi li utilizza (Inter, Milan) li ha comprati all’estero (Snejider, Ronaldinho) e in panchina aveva uno straniero (Mourinho, Leonardo). Lo sappiamo, capita di vederlo ogni domenica di campionato: salvo accorgerci, durante le gare di Coppa del Mondo, che forse se ne sente la mancanza. Infatti: Gilardino non pervenuto, Iaquinta poco meglio. Pazzini, Di Natale, Quagliarella: minutaggio scarso. Tutta colpa degli attaccanti? Mancano gli assenti? Sarebbe riduttivo anche solo il pensarlo.
Il dubbio, semmai, è un altro: l’Italia riesce ad andare al tiro solo con conclusioni da lontano (Montolivo, De Rossi), nessuna palla giocabile per le punte. Che, infatti, sembrano statuine. La manovra viene impostata dalla nostra metà campo: i lanci di decine di metri del calciatore della Fiorentina, di Capitan Futuro sono millimetrici, infallibili, pennellati. E poi?
Poi, dalla fascia si crossa (ma se contro hai difese di marcantoni, cosa vuoi crossare?), ci si accentra e non si partorisce alcuna idea. Perché c’è Marchisio (che è solo l’ennesimo centrocampista di quantità), Criscito e Zambrotta (fanno traversoni e macinano chilometri, che altro dovrebbero fare?), De Rossi e Montolivo (ottimi incursori, corridori, abili in fase difensiva e geometri nel creare gioco: ora cercano anche l’ultimo tocco, ma solo perché nessuno ha virtù per farlo meglio ed è francamente impossibile pensare che siano gli artefici dei lanci lunghi e i destinatari di quei lanci). Si utilizzino le riserve: perché no, salvo scoprire che Palombo, Gattuso, lo stesso Pirlo sarebbero solo alternative (alter ego) dei centrocampisti centrali che sono – a questo punto – una delle poche note liete del Mondiale azzurro.  Pepe? Camoranesi? Maggio? Bene, ma quale sarebbe il valore aggiunto?
 Non piace l’ultima gestione di Lippi: perché non è più – rispetto a prima – un’Italia a immagine e somiglianza del Ct ma pare una Nazionale figlia di più di un capriccio dell’ex Juventus. Non tanto – o non solo – per le convocazioni quanto piuttosto per questo modo poco comprensibile di adattare calciatori a ruoli e moduli per cui quegli stessi giocatori non sono portati (e, in tal senso, non sono i migliori su cui Lippi avrebbe potuto contare. Così – ma solo così – meglio Cassano a fare il trequartista di Marchisio). Accade il contrario rispetto a quanto capitava negli anni scorsi: prima, chiamavi tutti i trequartisti e, per metterli in campo, qualcuno doveva sacrificarsi a ruoli non suoi. Ora, chiami tutti centrali e uno di loro si deve inventare Roberto Baggio. I casi di Iaquinta e dello stesso Marchisio – su tutti – sono lampanti. Si incaponisce – Lippi – a ritenere che possano essere schierati dove non hanno mai agito e sono – tutte le volte – capaci, i due, di ricordarglielo con prestazioni non all’altezza. Invano.
Il viareggino – Lippi – in mancanza di fenomeni veri, ha deciso di puntare tutto sulla coesione, sullo spirito, sulla squadra. Trovando nel mix tra volti nuovi e facce note la migliore delle risposte possibili: scelta condivisibile. Salvo poi scoprire che – a indicare la via al gruppo – ci sono ultratrentenni che non ne hanno più. Cannavaro è il nonno del Pallone d’Oro 2006, Gattuso alletta ormai solo gli sceicchi d’Arabia, Zambrotta viene spontaneo chiedersi fino a quando reggerà (deludente il suo campionato al Milan), Camoranesi senza la maglietta è l’unico calciatore visto in questo Mondiale con la pancetta. Nessun fenomeno, tutti fenomeni: in tal senso, la squadra avrebbe potuto fare la differenza. Ma a questi livelli, non è mai così (tant’è che nel 2006, quando il gruppo era palesemente unito, i talenti erano almeno tre o quattro). Nessun reparto – difesa, centrocampo, attacco – pare completo per davvero. E allora.
 Il Paraguay fa due tiri in porta: un gol e mezzo.
La Nuova Zelanda fa due tiri in porta: un gol e mezzo.
L’Italia riesce a fare possesso palla (ma solo perché di fronte ci sono Paraguay e Nuova Zelanda) e i due gol sono frutto di un calcio da fermo e di un calcio di rigore. Il carattere – a tratti – si è visto, la compattezza anche. Solo che – per quelli che siamo – sono lo spirito e la forza capaci di farci pareggiare (altre volte, con uguali caratteristiche, saremmo andati a vincere). Abbiamo imparato a cantare l’inno all’unisono, a fare le ammucchiate in occasione di un gol ma stavolta non basta per fare risultato. Sarebbe dovuto servire a far sì che i 23 a disposizione di Lippi potessero fare il meglio di quel che gli è umanamente possibile: il tentativo del Ct – in tal senso – è apprezzabile. Però. Poi accade che sia Lippi stesso a vanificare lo sforzo iniziale. Con decisioni che lasciano perplessi. E, in tal senso, la coesione che accompagna gli Azzurri fuori dal campo si sfalda sul terreno di gioco per l’inevitabile sfilacciamento tra i reparti. Con i mille interrogativi che affiorano nella testa di ciascuno dei 23 non appena gli capita di toccare palla. Oddio, che faccio? Dove vado? Un dato su tutti: nella gara contro la Nuova Zelanda, l’Italia aveva già effettuato i tre cambi a disposizione al 16’ della ripresa. Quando gli avversari – numero 78 del ranking mondiale – schieravano ancora gli stessi undicesimi disposti in campo dall’allenatore a inizio partita. E non perche i neozelandesi stessero facendo un partitone (li avete visti colpire la palla di testa? Pallone centrale sul cranio, gli all withe riuscivano a spedire la palla in fallo laterale). Semplicemente, la partita di De Rossi (meno male che c’è De Rossi) e compagni è stata, nel complesso, insufficiente. Per la confusione di Lippi, certo.
Ma mentre scrivo, il Brasile stava sfiorando il quarto gol contro la Costa D’Avorio. Doppiettà Fabiano e rete di Elano. Dietro di loro, i verdeoro, possono però schierare Kakà – che sembra tornato quello dei tempi del Milan. Due assist. In una sola partita. E noi, chissà se ne riusciremo a mettere in piedi due in tutto il Mondiale.
Detto questo, Forza Azzurri. Fino alla fine.


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