Cristiano Doni, atalantino de Roma

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 Da Il Romanista:

Si può nascere a Roma e diventare bandiera dell’Atalanta? Cristiano Doni è la dimostrazione vivente che, benché strana, è una cosa possibile. Colpa (lui direbbe merito) del lavoro di papà Angelo, che di mestiere faceva il rappresentante della Esso e che per questo era costretto a cambiare spesso città. Così, nei primi anni Settanta, la famiglia Doni si trasferì nella Capitale e lì, l’1 aprile del ’73, nacque Cristiano, che inevitabilmente diventò un po’ romanista. O meglio “Pruzzista”. Sì perché il suo idolo era proprio il bomber giallorosso che incontrava sempre durante le vacanze a Crocefieschi paese di nascita dell’attaccante e di mamma Doni. Se passi l’infanzia con Pruzzo e se a battezzarti è un certo Padre Angelo, un parroco spagnolo che aveva giocato nelle giovanili del Real Madrid, il tuo destino è segnato. Non puoi fare a meno di diventare un calciatore.

E così è stato, anche se il cammino di Doni non è propriamente quello del predestinato. Anzi, per arrivare ad alti livelli ha dovuto aspettare una vita. Partendo dalle giovanili del Crazy Colombo, una formazione di Seconda Categoria della provincia di Verona, dove era tornato a 3 anni lasciando Roma e Casalpalocco. Poi passò nella Primavera del Modena, quindi al Rimini e a seguire Pistoiese, Bologna e Brescia, facendo avanti e indietro tra Serie B, C e A. Nel ’98 la sua vita cambiò col passaggio all’Atalanta, una sorta di “tradimento” per chi viene dagli odiati vicini del Brescia. E lì è iniziata la sua ascesa, frutto di una alchimia che neanche lui riesce a spiegare: «Questa è una maglia davvero speciale, quasi magica. E’ come il costume che trasformava Clark Kent in Superman. Ogni volta che la indosso sento una forza ed un’energia che mi permette di fare cose che altrimenti non riuscirei mai a fare». Anno dopo anno il legame tra Cristiano e Bergamo diventa più solido (nonostante una parentesi di qualche anno tra la Samp e il Maiorca), lui è l’idolo dei tifosi, anzi di una intera città. Nel 2006 il cantante bergamasco “Il Bepi” gli ha dedicato una canzone che porta il suo nome, nel 2008 ha addirittura ricevuto dal consiglio comunale il titolo di Cittadino Benemerito. Insomma, Doni nella sua Bergamo è il Re, è più forte di tutto (nella home page del suo sito viene riportata una celebre frase di Winston Churchill: “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e perdono le partite di calcio come se fossero guerre”). Uno capace di superare anche i momenti più difficili, come quando nella stagione 2000-2001 venne accusato, assieme ad altri calciatori, di avere pilotato il risultato della partita di Coppa Italia contro la Pistoiese, venendo poi assolto. Durante quel periodo disse che ne sarebbe uscito a testa alta. Per molti (lui non lo ha mai confermato) è dovuta a questo la sua esultanza dopo i gol con la mano sotto al mento ad alzare la testa. L’anno dopo questa disavventura, arrivò addirittura alla Nazionale (gol all’esordio contro il Giappone) e al mondiale nippo-coreano. Dove andò un po’ come il vice Totti («Per carità, siamo diversissimi. Lui è un talento unico» ha detto di Francesco). Oggi i due si incontrano di nuovo, oggi Cristiano torna nella sua Roma, quella della quale non ha nostalgia perché l’ha lasciata quando era troppo piccolo. Per diventare bandiera altrove.


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