Calcio: trauma cranico. Riise è l’ultimo di una lunga serie

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 John Arne Riise, ovvero l’ultimo dell’elenco. Che è lungo e, soprattutto in questi anni recenti, si sta rimpolpando con frequenza crescente. Il trauma cranico pare essere un “incidente” a cui i calciatori si devono abituare. Da Adnkronos:

Il caso più recente riguarda il difensore norvegese John Arne Riise, infortunatosi ieri durante l’allenamento con i suoi compagni di nazionale. Ma il ‘Thunderbolt’ romanista è solo l’ultimo della lista. Basti pensare al terzino romeno e interista Cristian Chivu o al portiere del Chelsea Peter Cech: i calciatori vittime di traumi cranici, anche violenti, sono sempre più frequenti.

“Questo perché il calcio sta diventando di anno in anno più atletico, con scontri duri tra calciatori sempre più prestanti e pesanti”. Parola di Fabrizio Stocchi, primario neurologo dell’ospedale San Raffaele di Roma, che all’Adnkronos Salute avverte: “In occasione di questi incidenti è necessario intervenire subito. Sottoporre il calciatore a Tac e risonanza magnetica per escludere emorragie interne che, in alcuni casi, possono portare anche alla morte”.”Il trauma cranico – spiega Stocchi – è rischioso perché può provocare danni immediati, come l’emorragia interna, che può portare allo schiacciamento della parte basse del cervello”. A correre questo rischio sono soprattutto i più giovani. “Negli anziani – spiega l’esperto – dove il cervello è più piccolo, il pericolo dello schiacciamento è minore. Ecco perché è importante sottoporre subito il paziente – soprattutto i ragazzi più giovani – a una Tac, per escludere fratture della calotta cranica e sanguinamenti. E a una risonanza magnetica per assicurarsi che non ci siano microlesioni”. Molti traumi, come nel caso del terzino norvegese Riise, finiscono per essere classificati come commozioni cerebrali. “Significa che il cervello ha subito un impatto, sbattendo all’interno del cranio”, spiega Stocchi. “Questo – aggiunge – porta a uno stato di incoscienza, e generalmente, se non ci sono stati sanguinamenti o lesioni strutturali, questo tipo di infortuni non ha conseguenze negative sulla salute futura del paziente”.C’è però bisogno di un periodo di riposo. “Il trauma cranico crea uno stato di sofferenza del tessuto encefalico e, nei giorni successivi – sottolinea l’esperto – può generare disturbi di vario genere, tipo: vertigini, cefalee, instabilità, ansia”. Ecco perché è necessario un periodo di riposo. “Tanto più se il paziente è un atleta che può andare incontro a nuovi colpi. Come nel caso del calciatore, che non solo è esposto al rischio di scontri con gli avversari, ma è chiamato a colpire il pallone con la testa più volte in una partita. In linea di massima, per rivederlo in campo ci vogliono almeno tre-quattro settimane. Anche se già dopo una settimana-dieci giorni, se non sopraggiungono complicazioni, può tornare ad allenarsi. Evitando però scontri e colpi di testa”.


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