Italpetroli – Roma, debiti e pagherò a viziare la storia giallorossa della famiglia Sensi

di Redazione 1


 “Nella vita più debiti hai e meglio è, perché il tuo problema diventa di altri”. Un genio? Un dottore? Uno sprovveduto? Forse nessuno dei tre: semplicemente l’”amabile” Giuseppe Ciarrapico in momenti di appassionata disquisizione. Partire con una citazione di (alto? Basso?) profilo è l’espediente che mette nelle condizioni di rivivere il passato a ritroso. E arrivare al maggio di 17 anni fa quando, occasionali compagni d’affari, Franco Sensi e – appunto – il collega Giuseppe Ciarrapico entrarono in contatto a causa della Roma. Il patron di Italpetroli– assieme a Massimo Mezzaroma – decise di varcare il portone del contesto calcistico per rilevare il club giallorosso e salvare la società dalla fallimentare (nel senso che ci si appropinquava a dichiarar fallimento per davvero) della gestione di Giuseppe Ciarrapico. Un percorso binario per sei mesi, poi a novembre il salto di qualità. Di Franco, spalle larghe ed esperienza navigata a tal punto da poterci stare da solo, al vertice della Roma. Accadde a novembre dello stesso anno: il figlio di Silvio (costruttore di campo Testaccio nel lontano 1929/30) e il papà di Rosella si inventò unico proprietario. Non uno qualunque, beninteso: fondatore negli anni sessanta di Italpetroli, gruppo industriale attivo nel settore petrolifero e petrolchimico con l’intento di creare nel centro Italia una entità capace di contrapporsi alle grandi potenze del settore esistenti nel nord (ERG e Saras su tutte); nominato – il 2 giugno 1995 – Cavaliere del lavoro per la sua attività imprenditoriale. Roba che i passati trascorsi (annebbiati dallo strapotere dei club del nord), i lustri dell’epoca dei Viola sarebbe potuta tornare. L’uomo giusto – Franco – per garantire alla storia giallorossa lo splendore che la tifoseria capitolina avrebbe meritato: gli ingredienti erano tutti in campo. Passione, competenza, propensione verso il lavoro, ambizione e la propensione a identificare se stesso quale paladino della impari lotta tra lo “strapotere” (lo chiamava così, lui romano de Roma) del Palazzo (metaforicamente, il potere) e dei club che ne tenevano le redini (che stavano, manco a dirlo, tutti dal Po’ in su). Vincere a Roma – da sempre, per tutti – è vincere due volte.
Lui, Franco Sensi classe 1926, riesce a trionfare in più di una circostanza, regalando alla città uno scudetto (2000/01) che mancava da 18 anni. E’ la vetta: un tripudio di emozioni e auspici a poco più di un anno di distanza (23 maggio 2000) da che la Borsa di Milano quotò nel listino il titolo A.S. Roma, seconda società di calcio italiana ad approdare in Piazza Affari (dopo la Lazio): 13 milioni di azioni che corrispondevano al 29% del capitale sociale del club, il prezzo di ogni azione fissato in 5,5 euro, capitalizzazione della Roma di 554 miliardi. Periodo d’oro, quello a cavallo dei due millenni: a tal punto importante che sembrava giunto il momento dei cicli di vittorie continuativi a cui la Capitale non era ancora stata abituata. Invece. Un lento – ma costante – declino perché le partite dei giallorossi cominciarono a giocarsi non più solo sul campo ma anche in banca. A causa dei debiti accumulati da Italpetroli, holding petrolifera che deteneva (e detiene) gli asset (valori, beni, attività) del gruppo. E la Roma, oltre che con squadra, società, club: fa sinonimo anche con asset. Un bel guaio. Perché mentre i bilanci della squadra sono sani a tutti gli effetti, quelli della società facente capo sono pieni di falle. Di buchi. Di debiti.
Fin dal principio. Era il 2003 quando Franco Sensi, già nelle condizioni di debitore, confidava a stretti collaboratori “Vendo un palazzo e sistemo tutto”. Ma anche allora, nemmeno l’Hotel Cicerone, 4 stelle e 300 stanze, non sarebbe bastato a risanare. Con qualche immobile in più, certo, sarebbe andato tutto a posto: il patrimonio immobiliare dei Sensi era consistente (suo padre gli lasciò a Roma mille ettari edificabili). Ma le proprietà erano incedibili. Come le Bandiere. E né furono ceduti palazzi, né si rinunciò a Francesco Totti. A furia di pagherò, passarono degli anni.
Torna utile, in tal senso, ripartire dal 2006: documento storico. Porta la firma di Franco e Rosella Sensi nelle vesti di presidente e amministratore delegato di Compagnia Italpetroli spa, la capofila di tutte le aziende dell’impero dei Sensi. Il documento si chiama “Piano patrimoniale, economico e finanziario per il periodo 2006-2015”. E diceva, in sostanza, una cosa chiarissima e fondamentale. “I Sensi non venderanno la Roma. Né oggi, né domani, né dopodomani”. Nonostante il forte indebitamento (primavera 2004, 640 milioni di euro di debito: Capitalia entra nel gruppo con una quota del 49% e sottoscrive un piano di risanamento che prevede la riduzione del passivo a 225 milioni entro il 31 dicembre 2005.
Per ridurre il forte indebitamento che il Gruppo ancora ha con le banche, metteranno sul mercato beni immobiliari, altri terreni. Ma la As Roma no. Primo dato: il debito di Italpetroli è nei confronti di Capitalia. Poi accade che.
Maggio 2007: i consigli di amministrazione di Unicredit e di Capitalia approvano la fusione dei due istituti dando il via libera alla nascita di un gruppo da 100 miliardi di euro, il settimo gruppo bancario del mondo che prese il nome di Unicredit Group.
Novembre 2007: l’indebitamento di Italpetroli è sceso a 377 milioni di euro: nuovo piano. Stavolta si devono restituire 130 milioni entro il settembre 2008: a quel punto, il progetto è di dividere la società in altrettante ramificazioni. Per aree settoriali (petrolifera, immobiliare, entertainment): con scadenze temporali diverse, ognuna dovrà rientrare del debito complessivo. Il referente cambia: non più Capitalia (Cesare Geronzi) ma Unicredit (Alessandro Profumo). Il debito è sempre lì, viene rinegoziato un nuovo piano: la prima scadenza è per il dicembre successivo. Poi slitta di sei mesi. Poi di altri sei. Poi di un anno. Si fa in fretta – certe volte – a bruciare 48 mesi senza neppure accorgersene. In mezzo, la malattia e la scomparsa di Franco Sensi: al punto che fin dal principio del 2008, il referente principale di Italpetroli diventa Rosella. Ed è con lei (papà Franco ancora in vita, morirà nell’agosto dello stesso anno) che va registrato un secondo e un terzo dato. Il secondo: alla figlia, papà Sensi lasciò in eredità debiti per 277 milioni di euro verso la banca di Profumo su 365 complessivi. Il terzo: la Roma, a un certo momento, si poteva vendere per bei soldini. Siamo ad aprile, emissari della americana Inner Circle Sports, in società con il George Soros Fund (braccio finanziario di uno degli uomini più ricchi del mondo), presentano all’erede del capofamiglia un assegno da 283 milioni, sull’unghia, per acquistare la Roma. Rosella ci prova: tra le mani – dice lei – ha un’offerta superiore. Un misterioso sceicco. Gli uomini d’affari a stelle e strisce non ci cascano: non offrono nulla di più, anzi. Salutano la dottoressa con tanto di benservito. Tornando ai numeri di esercizio del 2008 di Italpetroli, emerge che il debito totale della holding è lievitato a 530,2 milioni (+33,8% rispetto al 2007), un livello pari a 2,5 volte il fatturato (203 milioni). Sulla posizione finanziaria hanno pesato le passività delle neo consolidate Svila e Borgo di Perolla; Italpetroli ha dovuto registrare le perdite della maggior parte delle attività industriali e ha chiuso (2008) in rosso per 32 milioni, a fronte di un patrimonio netto diventato negativo per 200 milioni. Soluzioni? Immediate: pensando al futuro dei figli. E dei figli dei figli: dopo – solo dopo – avere aumentato da 1 a 2,4 milioni di euro i compensi complessivi annuali per i membri del consiglio di amministrazione della Italpetroli, la famiglia prosegue nel tentativo di ristrutturazione con l’obiettivo di dimezzare l’indebitamento a quota 250 milioni attraverso le cessioni. Ma il debito non cala. Unicredit non cancella. Anzi. I rapporti con i vertici della banca diventano sempre più tesi, formali, freddi. Col passare dei giorni – tutto il 2008, primi mesi del 2009 – le pretese di Unicredit si fanno sempre più insistenti ma i Sensi, quel disavanzo, faticano a colmarlo. Neppure un euro riconsegnato mentre gli interessi continuano a crescere. E – crescendo gli interessi – si rimpolpa il debito. Una spirale, irreversibile. Equilibri precari – tra le due società – e il ruolo sempre più determinante dei legali, che iniziano a prendere di petto la faccenda anche e soprattutto per le insistenze di Unicredit che vede disattesa anche la prima scadenza del 2009: il 28 maggio
Rosella, Silvia e Maria Cristina Sensi, insieme al legale di famiglia Gianroberto Di Giovanni, rispondono alla convocazione di Paolo Fiorentino, numero due di Unicredit, per dare risposta alla richiesta (in realtà un ultimatum) della banca circa il rientro dal debito dopo il mancato pagamento della prima rata prevista. Il primo incontro – quello – di un anno incapace di colpi di scena. Che, in effetti, i 325 milioni più interessi maturati, la Sensi non poteva trovarli da nessuna parte: semplicemente, non li aveva.  In tal senso, dal cilindro Rosella ha provato a tirar fuori l’arma politica. Sai mai. Il nome è quello di Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e amico di famiglia, al fine di trovare una mediazione con la banca (27 luglio). L’intercessione, tuttavia, funziona poco perché Unicredit – spalle larghe, larghissime e soprattutto dalla parte della ragione – risponde con una mossa netta: il 16 settembre vengono pignorati due alberghi di proprietà della famiglia Sensi, il Filippo II all’Argentario e il Sunbay Park Hotel a Civitavecchia. La risposta di Italpetroli si lascia attendere quasi due mesi, ma arriva: la holding, attraverso un comunicato rilasciato il 4 novembre, fa sapere di voler “dimostrare presto che i pignoramenti dei due alberghi sono frutto di un’azione tanto illegittima quanto abusiva”. Seguono attacchi mediatici della banca (impugnazione del bilancio di Italpetroli, 18 novembre) e repliche della famiglia Sensi (l’impugnazione è illegittima, il giorno dopo). Per la prima volta, interviene in maniera attiva anche il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno: mediatore di un incontro che si svolge in Campidoglio (23 novembre) alla presenza di Rosella Sensi, Paolo Fiorentino, numero due di Unicredit, Maurizio Cereda, direttore generale di Mediobanca (a cui s’è rivolta Italpetroli per una consulenza rispetto al piano di rientro) e Pippo Marra, rappresentante di Adnkronos e consigliere d’amministrazione della Roma. Le sensazioni del primo cittadino, alla fine dei lavori, sono eloquenti: “Clima gelido”. Per cinque mesi più nulla, poi (30 maggio scorso), la seconda visita di Rosella Sensi a Gianni Letta a cinque giorni dalla data (4 luglio) della prima udienza dell’arbitrato sotto la supervisione del Presidente del Collegio arbitrale, Cesare Ruperto. Un paio d’ore di conciliabolo, poi il rinvio al 23 giugno: tre ore di faccia a faccia nello studio di via Cesare Ferrero di Cambiano 82, nel corso del quale vengono avanzate varie ipotesi di conciliazione. Previo ulteriore rinvio al 5 luglio. Al lavoro, nel frattempo,  i legali – Agostino Gambino e Antonio Conte in capo ai Sensi, Francesco Carbonetti e Valerio Di Gravio per conto di Unicredit – per il raggiungimento di una intesa che si fa sempre più realistica. Stando alle indiscrezioni degli organi di stampa e alle dichiarazioni dei diretti interessati, si è a tanto così dall’accordo: quella del 5 luglio, insomma, sembra la data utile per chiudere ogni questione. Invece, anche stavolta si rinvia: dopo la bellezza di quasi 5 ore di argomentazioni (dalle 12.30 alle 14.45 e dalle 18.40 alle 20.50). Ruperto, ottimista fin dalla mattina, si trova costretto a rimandare tutto all’8 luglio, ore 18. I legali mostrano ottimismo, la Sensi non parla, riconosce solo la stanchezza (fisica, mentale) per la maratona cui è stata sottoposta negli uffici del Presidente degli arbitri. Ma i giochi sono fatti, il rinvio pare solo figlio dell’ora tarda e i primi dettagli rispetto all’intesa iniziano a farsi più nitidi: Italpetroli scorporata in due società, la prima contenente gli asset del gruppo – compresa la Roma – e passata di fatto a Unicredit a saldo del debito da 325 milioni; la seconda con le proprietà immobiliari, ancora di proprietà della famiglia Sensi. Inoltre, a Rosella un posto nel Cda della società giallorossa con tanto di carica di presidente e amministratore delegato ad interim. Fino a che il nuovo acquirente non acquisti fisionomia definita e non mostri oggettive credenziali economiche.


Commenti (1)

  1. un lento ma costante declino??? Ma che cosa scrivete??? La Roma gli ultimi 4 anni vi è sembrata in declino???

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