Pradè Story (sei anni di Daniele Pradè nel ruolo di direttore sportivo della Roma)

di Redazione Commenta


Il 24 marzo 2005 segna uno spartiacque importante nella storia della Roma. La data è quella delle dimissioni di Franco Baldini dal ruolo di direttore sportivo giallorosso. Un fatto non solo sostanziale, ma anche simbolico. Quel gesto (accompagnato da un freddissimo comunicato del club) segna la definitiva inversione di rotta di una politica societaria prima combattiva e ostile, da quel momento in poi collaborativa e disponibile verso i cosiddetti ‘poteri forti’ del calcio italiano. Quella data aprirà le porte all’ascesa di un giovane dirigente entrato in società nell’era Capello in qualità di collaboratore di Fabrizio Lucchesi. Il suo nome, Daniele Pradè, è destinato a segnare nella storia della Roma un capitolo importante fatto di vittorie, trionfi a lungo accarezzati (e quasi mai raggiunti) e qualche cocente sconfitta, sempre però accompagnata dall’orgoglio di aver fatto tutto il possibile nel contrastare forze troppo grandi per essere sopraffatte. Sullo sfondo, le mille difficoltà derivanti da una situazione societaria avviata ad un progressivo e inesorabile deterioramento, che certamente ha complicato non poco il compito del nuovo direttore sportivo. A distanza di quasi sei anni di lavoro, facciamo un breve riassunto delle operazioni di mercato realizzate sotto il regno Pradè suddivise per categorie (acquisti, cessioni, scoperta talenti, prestiti, paramentri zero, altre operazioni di mercato), in modo da offrire una panoramica analitica della gestione del parco giocatori giallorosso nel periodo in esame.

ACQUISTI (voto: 6,5)

 Il capitolo teoricamente più importante per un club di calcio di prima fascia, anche se le difficoltà economiche della Roma hanno spesso costretto Daniele Pradè a viaggiare con il borsello delle uscite vuoto. Il bilancio è complessivamente positivo, poiché sono stati presi giocatori destinati a costituire l’ossatura di una squadra destinata a contendere alla potentissima Inter la supremazia in terra italiana, anche se pochi di essi hanno visto un aumento sensibile del proprio valore di mercato (spesso più per ragioni anagrafiche, che di valore intrinseco del giocatore). Tra i pochi in grado di realizzare una plusvalenza c’è Mirko Vucinic, pagato complessivamente 22 milioni al termine di una lunghissima sequela di atti giuridici (prestiti, riscatti di comproprietà e acquisti definitivi) resisi necessari per la mancanza di denaro cash da investire e che hanno permesso al Lecce (proprietario del cartellino) di ricavare una somma di gran lunga maggiore rispetto a quella che sarebbe stata percepita in caso di immediato acquisto a titolo definitivo. Soldi ben spesi quelli per Marco Borriello (serviranno 10 milioni per il suo riscatto, comunque obbligato). Altra felicissima operazione, quella relativa a David Pizarro, troppo frettolosamente lasciato partire dall’Inter per 12 milioni, mentre mosse di mercato meno dispendiose ma altrettanto azzeccate sono state gli arrivi di Cassetti (costo: 3 milioni), Juan (pagato 6.3 milioni) e Riise (5.5 milioni versati al Liverpool per il suo cartellino). Tutti elementi che, in tempi diversi, hanno  attirato la diffidenza di alcuni addetti ai lavori (il primo per la sua provenienza da un club minore; il brasiliano per i troppi infortuni che funesteranno alcune stagioni in maglia giallorossa; Riise a causa di una prima stagione non esaltante che ha fatto parlare di giocatore logoro), ma che alla fine hanno vinto la loro scommessa. Chi la scommessa l’ha sicuramente persa è il brasiliano Cicinho, non solo costato una cifra importante (11 milioni), ma anche premiato con un ingaggio pesantissimo che ne ha impedito la successiva collocazione in altre squadre (l’esperienza di San Paolo, purtroppo per la Roma, è stato un parcheggio e non una dismissione definitiva). Stessa nazionalità, stessa provenienza (Real Madrid), stesso costo e ingaggio altrettanto pesante: Julio Baptista è l’altro acquisto flop (o quasi) dell’era Pradè, e anche la ricerca (disperata e senza frutto) di una nuova squadra nell’ultima finestra di calciomercato ricorda molto le vicissitudini del collega di cui sopra. Diverso in questo caso è l’antefatto: la Roma, prima di indirizzare le proprie energie sull’attaccante brasiliano, aveva sondato il terreno per un certo Samuel Eto’o, il camerunense che incrocerà la strada dell’Inter facendone le fortune. La Roma, attraverso un comunicato ufficiale, smentì le indiscrezioni riportate da ‘Marca’ sulla trattativa tra il club giallorosso e l’attaccante del Barcellona, ma proprio nei mesi scorsi quest’ultimo ha  ‘smentito la smentita’, dichiarando di essere stato ad un passo dallo sbarco a Trigoria. Il capitolo degli acquisti ‘ad alto costo’ trova la sua appendice in Jeremy Menez, costato complessivamente 12 milioni dalla famiglia Sensi e che quest’anno sta ripagando ampiamente il sacrificio economico sostenuto dal club. Gli altri movimenti di mercato in entrata non hanno dato alla rosa della Roma il valore aggiunto sperato, ma se non altro le cifre investite sono state irrisorie: Barusso, costato poco più di un milione e mezzo e mai rivelatosi utile alla causa giallorossa; Esposito, pagato quasi tre milioni sull’onda di una splendida annata a Cagliari, ma finito presto nel cassetto delle promesse non mantenute; infine gli arrivi di Artur e Loria dal Siena in cambio della metà dei cartellini di Curci e Galloppa. Che in questa operazione a guadagnarci sia stata soprattutto la squadra toscana, è evidente a tutti.

CESSIONI (voto: 7)

 E’ l’ambito dove Daniele Pradè, suo malgrado, si è trovato costretto a cimentarsi con maggior dedizione, a causa della non florida situazione delle casse societarie: quasi tutte le sessioni di mercato sono state caratterizzate dall’obbligo di cedere per poi (eventualmente) acquistare. E il direttore sportivo, proprio in questi frangenti, ha dato il meglio di sé, riuscendo a ricavare il massimo da giocatori pur validi tecnicamente, ma spesso al limite dello svincolo a parametro zero o in forte conflitto con società e ambiente. Pradè nulla ha potuto per evitare una forte minusvalenza con Cassano: il talento barese, acquistato sotto l’era Baldini per 70 miliardi di lire, ha lasciato Roma per soli 5 milioni di euro (destinazione Real Madrid), ma il contesto dell’operazione (giocatore in rotta con società, compagni e tifosi) ha impedito di far stornare cifre più dignitose. E andata decisamente meglio con Chivu (all’Inter per 16 milioni), Mancini (ancora l’Inter nelle vesti di acquirente, operazione da 13 milioni per un giocatore destinato a sparire dal panorama calcistico di livello), Aquilani (20 milioni da Liverpool più eventuali bonus) e Cerci (4 milioni dalla Fiorentina per l’esterno che la Roma ha fortemente rischiato di perdere a parametro zero). Sul fronte, l’operazione meglio riuscita è comunque la cessione di Mido al Tottenham: l’attaccante egiziano, oggetto misterioso nella Capitale, ha fruttato alle casse giallorosse la bellezza di 7 milioni.

GIOVANI (voto: 4,5)

 In questa sezione si concentrano le maggiori pecche dell’operato di Pradè. Negli oltre 5 anni della sua gestione, il direttore sportivo non è riuscito a lanciare un solo giovane, preso a basso costo, ed esploso all’ombra del Cupolone con conseguente plusvalenza. Se su Menez (comunque ben pagato, come abbiamo visto sopra), la speranza che possa diventare un giocatore importante ancora soffia forte, lo stesso non può dirsi sugli altri tentativi fatti in questi anni: da Faty a Martinez, da Defendi ad Antunes, da Pit ad Andreolli (pagato 3 milioni e ceduto a poco più di uno), finendo con Barusso. Tra infortuni, difficoltà di ambientamento e pochezza tecnica, gli ingaggi di questi elementi si sono risolti quasi sempre nel tentativo di trovare loro una nuova sistemazione nelle sessioni di mercato a venire. In altri lidi, anche importanti, venivano presi a cifre modeste giocatori come Balotelli, KolarovJovetic, Pastore, Kjaer, Sanchez e Ilicic, tanto per snocciolare alcuni nomi destinati a diventare pesanti. Qualcosa in più da questo punto di vista si poteva fare.     

PRESTITI (voto: 6,5)

 Due sono i parametri che vengono utilizzati dagli addetti ai lavori per valutare la bontà di un prestito: la finalizzazione (ossia, l’avvenuto riscatto dell’elemento oggetto del prestito) e l’apporto alla squadra. Sotto il primo aspetto, soltanto due giocatori durante la gestione Pradè sono stati riscattati per poi restare in prima squadra: Lobont (costato poco meno di un milione e tornato utile già nel corso di questa stagione per l’infortunio di Julio Sergio) e Burdisso. Quest’ultimo in particolare rappresenta una felice intuizione dello scorso mercato: pochi, al suo arrivo, credevano nelle sue potenzialità. Purtroppo, la carenza di moneta cash ha impedito un immediato acquisto in via definitiva di Burdisso, che verrà perfezionato l’anno successivo per 8 milioni di euro (il doppio di quello che sarebbe costato se preso subito). Tra gli altri prestiti, una menzione speciale va tributata a Luca Toni, giunto tra l’entusiasmo dei tifosi romanisti e capace di dare il suo prezioso contributo nei pochi mesi in cui si è legato alla squadra di Ranieri. Meno fruttuosi i prestiti di Tavano (il diritto di riscatto, fortunatamente non esercitato, era stato fissato sui 10 milioni di euro), Wilhemsson, Kharja, Diamoutene e Sugar David.

   PARAMETRI ZERO (voto: 6,5)

 Costretto spesso a badare più alle esigenze di bilancio della società che a quelle tecniche della squadra, Pradè ha dovuto gioco-forza fare spesso ricorso al ‘parametro zero’ per completare la rosa della Roma. Agevolato dalla possibilità di poter garantire ingaggi importanti (discorso che analogamente può essere fatto per i prestiti), Pradè ha comunque dimostrato di sapersi muovere bene nell’intricato dedalo dei giocatori in scadenza di contratto, conducendo in porto operazioni risultate anche molto importanti. In particolare, gli arrivi di Doni e Julio Sergio hanno permesso alla Roma di godere delle prestazioni di due portieri di livello più che accettabile, senza sborsare un solo euro. Ancora meglio è  andata con Taddei, diventato col tempo uno degli elementi più preziosi del centrocampo romanista. Bene anche gli arrivi di Tonetto e di Guberti, quest’ultimo girato alla Sampdoria in cambio di denaro fresco, investito nell’ultima sessione di calcio mercato per l’affannoso riscatto di Burdisso. Deludente l’apporto fornito dai vari Nonda, Eleftheropoulos, Kuffour e Comotto. Ultimi arrivi low cost, quelli di Simplicio e Adriano: ancora presto per emettere una sentenza definitiva, anche se l’attaccante brasiliano in primo grado è già stato bocciato.Va infine sottolineato che la bontà di Pradè nello gestire questo tipo di situazioni è dimostrato dal fatto che, a fronte dei molti colpi messi a segno col meccanismo del parametro zero, l’unico che ha lasciato Roma con la stessa modalità è il difensore Matteo Ferrari. Anche in questo caso, la società non ha fatto molto per tentare di monetizzare il cartellino del giocatore.   
 

ALTRE OPERAZIONI DI MERCATO (voto: 5,5)

 La gestione di Pradè segna anche l’arrivo di alcuni giocatori che sono stati meteore più o meno lucenti nella storia della Roma, giunti nella Capitale per cifre che sono rientrate pienamente con la successiva cessione. Tra questi, da menzionare Alvarez (destinato a fare bene nel Bari) e Giuly, il cui apporto in maglia giallorossa, seppur per breve tempo, è stato comunque prezioso.  Un ultimo settore, dove le cose sono andate decisamente male, è nella gestione delle buste: i risultati per la Roma sono stati spesso disastrosi. Tre esempi su tutti, i più eclatanti. La comproprietà di Pellizzoli con la Reggina verrà affidata alle buste; la Roma (come i calabresi) presenterà un’offerta pari a zero per il riscatto del portiere che, in virtù del regolamento dell’epoca (il giocatore resta nella squadra dove ha disputato l’ultima stagione), diventerà di proprietà della Reggina che, due mesi più tardi, lo cederà in Russia ricavando 4 milioni di euro. Stessa storia con D’Agostino, rimasto al Messina dopo il ricorso alle buste e ceduto dopo appena venti giorni all’Udinese: 5 i milioni entrati nelle casse siciliane. Infine, Marco Motta (storia recente), la cui metà del cartellino è stata riscattata versando 3.5 milioni all’Udinese. Dopo un solo anno, la Roma cederà quella stessa metà per circa un milione e mezzo di euro. Operazioni di mercato scellerate, costate alla Roma più di 10 milioni di euro, che non inficiano però l’operato complessivamente positivo di Daniele Pradè, capace tra mille difficoltà societarie e con una spesa complessiva molto bassa (circa sei milioni di euro l’anno di media) di costruire quasi sempre squadre altamente competitive e in grado di lottare contro la multimilionaria Inter per quasi un quinquennio.  


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